Lettera ai Filippesi 4:1-23

4  Quindi, fratelli miei che amo e desidero tanto rivedere, mia gioia e mia corona,+ miei cari, rimanete saldi+ nel Signore in questo modo.  Esorto Evòdia ed esorto Sìntiche a essere dello stesso pensiero nel Signore.+  E chiedo anche a te, genuino compagno d’opera, di continuare ad aiutare queste donne che hanno combattuto al mio fianco per la buona notizia, insieme a Clemente e al resto dei miei compagni d’opera, i cui nomi sono nel libro della vita.+  Rallegratevi sempre nel Signore. Ripeto: rallegratevi!+  La vostra ragionevolezza+ sia nota a tutti. Il Signore è vicino.  Non siate in ansia per nessuna cosa,+ ma in ogni cosa le vostre richieste siano rese note a Dio con preghiere e suppliche accompagnate da ringraziamenti;+  e la pace+ di Dio che è al di là di ogni comprensione custodirà il vostro cuore+ e le vostre facoltà mentali mediante Cristo Gesù.  Infine, fratelli, tutte le cose* vere, tutte le cose degne di rispetto, tutte le cose giuste, tutte le cose caste,+ tutte le cose amabili, tutte le cose di cui si parla bene, tutte le cose virtuose e tutte le cose degne di lode, continuate a considerare queste cose.+  Quello che avete imparato, accettato, udito e visto da me, praticatelo;+ e l’Iddio della pace sarà con voi. 10  Mi rallegro moltissimo nel Signore che ora la vostra premura per me si sia finalmente ravvivata.+ In realtà vi preoccupavate per me, ma vi mancava l’opportunità di dimostrarlo. 11  Non dico questo perché mi trovo nel bisogno; ho imparato infatti a essere autosufficiente indipendentemente dalle circostanze.+ 12  So vivere con poco+ e so vivere nell’abbondanza. In ogni cosa e in ogni situazione ho imparato il segreto dell’essere sazio e dell’avere fame, dell’avere abbondanza e dell’essere nel bisogno. 13  Per ogni cosa ho forza grazie a colui che mi dà potenza.+ 14  Comunque avete fatto bene ad aiutarmi nelle mie sofferenze. 15  Voi filippesi sapete pure che dopo che udiste la buona notizia, quando partii dalla Macedonia, nemmeno una congregazione, a parte voi, partecipò con me al dare e all’avere;+ 16  mentre ero a Tessalonica, infatti, mi mandaste qualcosa per le mie necessità non una, ma due volte. 17  Non che io sia in cerca di doni; quello che cerco è il frutto che abbondi a vostro credito. 18  Comunque ho tutto quello che mi serve e anche di più. Sono nell’abbondanza ora che Epafrodìto+ mi ha consegnato quello che avete mandato, un profumo soave,+ un sacrificio gradito, che piace a Dio. 19  A sua volta, mediante Cristo Gesù, il mio Dio soddisferà pienamente ogni vostra necessità+ secondo la Sua gloriosa ricchezza. 20  Al nostro Dio e Padre vada la gloria per i secoli dei secoli. Amen. 21  Date i miei saluti a ogni santo unito a Cristo Gesù. I fratelli che sono con me vi mandano i loro saluti. 22  Vi salutano tutti i santi, soprattutto quelli della casa di Cesare.+ 23  L’immeritata bontà del Signore Gesù Cristo sia con lo spirito che voi mostrate.

Note in calce

Lett. “quante sono queste (cose)”.

Approfondimenti

Rallegratevi sempre nel Signore Ancora una volta Paolo incoraggia i filippesi a rallegrarsi nel Signore. (Vedi approfondimento a Flp 3:1.) Anche se in questo contesto il titolo “Signore” può riferirsi sia a Geova Dio sia a Gesù Cristo, Paolo sembra riecheggiare alcune esortazioni che si trovano nelle Scritture Ebraiche e che si riferiscono a Geova (Sl 32:11; 97:12).

Signore In questo contesto il titolo “Signore” (in greco senza l’articolo determinativo) può riferirsi sia a Geova Dio sia a Gesù Cristo. Comunque il fatto che diverse traduzioni delle Scritture Greche Cristiane in ebraico e in altre lingue usino in questo punto il nome divino porta a ritenere che qui si riferisca a Geova. (Confronta approfondimento a Flp 4:4.)

hanno combattuto al mio fianco O “hanno combattuto fianco a fianco insieme a me”. Anche se Evodia e Sintiche a quanto pare avevano avuto uno scontro e la cosa si era evidentemente risaputa nella congregazione di Filippi, Paolo le loda comunque perché in precedenza si erano impegnate nel predicare e insegnare la buona notizia insieme a lui. Per descrivere il contributo dato da queste due sorelle, usa lo stesso verbo greco che aveva utilizzato in Flp 1:27, sempre con il senso di combattere fianco a fianco, collaborare strettamente gli uni con gli altri.

uno O “in unità”, “uniti”. Gesù pregò che i suoi veri discepoli fossero “uno”, che lavorassero insieme accomunati dallo stesso obiettivo, proprio come lui e il Padre sono “uno” dando prova di cooperazione e unità d’intenti (Gv 17:22). In 1Co 3:6-9 Paolo descrive proprio questo tipo di unità, l’unità esistente fra ministri cristiani che collaborano tra loro e con Dio. (Vedi 1Co 3:8 e approfondimenti a Gv 10:30; 17:11.)

essere dello stesso pensiero nel Signore La lettera ai Filippesi abbonda di lodi e incoraggiamento, ma in questo passo Paolo dà un consiglio per correggere una situazione. Le due donne cristiane qui menzionate dovevano aver avuto uno screzio abbastanza serio da minare la pace e l’unità della congregazione e da giungere all’orecchio dell’apostolo, all’epoca detenuto nella lontana Roma. Il fatto che venga dato loro questo consiglio non presuppone che fossero sorelle immature. (Vedi approfondimento a Flp 4:3.) Paolo sapeva per esperienza personale che anche tra cristiani maturi possono sorgere dissapori (At 15:37-39). Piuttosto che schierarsi da una parte o dall’altra, esorta gentilmente tutt’e due a impegnarsi per essere unanimi e raggiungere l’unità, sulla base dell’amore che entrambe avevano per il Signore. (Vedi approfondimento a Gv 17:21.)

compagno d’opera Questa espressione traduce un termine greco che alla lettera significa “compagno di giogo”. Qui Paolo si rivolge a un fratello della congregazione di Filippi, di cui non fa il nome, per chiedergli di aiutare Evodia e Sintiche a “essere dello stesso pensiero nel Signore” e a risolvere il loro screzio. (Vedi approfondimento a Flp 4:2.) È degno di nota che Paolo, nominato apostolo da Gesù Cristo, si consideri compagno d’opera dei suoi fratelli e sorelle, non loro padrone (At 9:15; Ro 11:13). Anziché spadroneggiare sulla congregazione, Paolo agisce in armonia con le parole di Cristo: “Voi siete tutti fratelli” (Mt 23:8; 1Pt 5:3; vedi approfondimento a 2Co 1:24).

hanno combattuto al mio fianco O “hanno combattuto fianco a fianco insieme a me”. Anche se Evodia e Sintiche a quanto pare avevano avuto uno scontro e la cosa si era evidentemente risaputa nella congregazione di Filippi, Paolo le loda comunque perché in precedenza si erano impegnate nel predicare e insegnare la buona notizia insieme a lui. Per descrivere il contributo dato da queste due sorelle, usa lo stesso verbo greco che aveva utilizzato in Flp 1:27, sempre con il senso di combattere fianco a fianco, collaborare strettamente gli uni con gli altri.

i cui nomi sono nel libro della vita Questo simbolico libro di memorie è un’amorevole garanzia che le persone fedeli sono nella perfetta memoria di Dio e che lui le ricompenserà con la vita eterna, in cielo o sulla terra (Ri 3:5; 20:15). Questa espressione riecheggia alcuni passi delle Scritture Ebraiche dai quali si capisce che il nome di coloro che sono fedeli è scritto nel libro della vita, ma con riserva: se vogliono che vi rimanga scritto per ricevere così la ricompensa promessa, devono infatti continuare a essere fedeli e ubbidienti (Eso 32:32, 33; Sl 69:28, nt.; Mal 3:16). Paolo ha appena menzionato due zelanti sorelle unte della congregazione di Filippi, Evodia e Sintiche, che hanno avuto un qualche tipo di contrasto. Eppure le annovera tra i compagni d’opera i cui nomi sono scritti in questo simbolico libro; non conclude che i loro piccoli difetti ed errori possano privarle della ricompensa, che è invece sicura se rimangono fedeli fino alla fine. (Confronta 2Tm 2:11, 12.) Il richiamo a dei nomi scritti in un libro può aver fatto venire in mente ai cristiani di Filippi, che era una colonia romana, il registro pubblico in cui erano riportati i nomi di coloro che avevano la cittadinanza.

essere dello stesso pensiero nel Signore La lettera ai Filippesi abbonda di lodi e incoraggiamento, ma in questo passo Paolo dà un consiglio per correggere una situazione. Le due donne cristiane qui menzionate dovevano aver avuto uno screzio abbastanza serio da minare la pace e l’unità della congregazione e da giungere all’orecchio dell’apostolo, all’epoca detenuto nella lontana Roma. Il fatto che venga dato loro questo consiglio non presuppone che fossero sorelle immature. (Vedi approfondimento a Flp 4:3.) Paolo sapeva per esperienza personale che anche tra cristiani maturi possono sorgere dissapori (At 15:37-39). Piuttosto che schierarsi da una parte o dall’altra, esorta gentilmente tutt’e due a impegnarsi per essere unanimi e raggiungere l’unità, sulla base dell’amore che entrambe avevano per il Signore. (Vedi approfondimento a Gv 17:21.)

Non che siamo i padroni della vostra fede Paolo era convinto che i suoi fratelli, essendo cristiani fedeli, volevano fare ciò che è giusto. Se riuscivano a rimanere saldi non era grazie a Paolo o a qualche altro essere umano, ma grazie alla loro fede. Il verbo greco reso “siamo i padroni” (kyrièuo) può trasmettere l’idea di dominare altri o di tiranneggiare. Pietro usa un verbo affine quando esorta gli anziani a non ‘spadroneggiare su quelli che sono l’eredità di Dio’ (1Pt 5:2, 3). Paolo si rendeva conto che l’autorità che aveva quale apostolo non gli dava il diritto di esercitarla in maniera dispotica. Inoltre, aggiungendo siamo invece compagni d’opera per la vostra gioia, dimostra che non pensava che lui e i suoi collaboratori fossero superiori agli altri; riteneva piuttosto che fossero servitori che facevano tutto il possibile per aiutare i corinti ad adorare Geova con gioia.

Rallegratevi sempre nel Signore Ancora una volta Paolo incoraggia i filippesi a rallegrarsi nel Signore. (Vedi approfondimento a Flp 3:1.) Anche se in questo contesto il titolo “Signore” può riferirsi sia a Geova Dio sia a Gesù Cristo, Paolo sembra riecheggiare alcune esortazioni che si trovano nelle Scritture Ebraiche e che si riferiscono a Geova (Sl 32:11; 97:12).

continuate a rallegrarvi nel Signore Nella lettera ai Filippesi, più volte Paolo esprime la propria gioia e incoraggia i fratelli a rallegrarsi (Flp 1:18; 2:17, 18, 28, 29; 4:1, 4, 10). L’enfasi che Paolo dà alla gioia è sorprendente se si pensa che a quanto pare scrisse questa lettera mentre era agli arresti domiciliari. L’espressione “nel Signore” può essere intesa “riguardo [o “unitamente”] al Signore” oppure “a motivo del Signore”. In questo contesto il titolo “Signore” potrebbe riferirsi sia a Geova Dio sia a Gesù Cristo, ma le parole di Paolo sembrano fare eco a esortazioni simili che si trovano nelle Scritture Ebraiche e che si riferiscono a Geova (Sl 32:11; 97:12; vedi “Introduzione a Filippesi” e approfondimento a Flp 4:4).

la benignità del Cristo Pur scrivendo ai cristiani di Corinto a proposito di alcune loro mancanze, Paolo non lo fa con durezza. Piuttosto, a imitazione di Cristo, si rivolge loro in modo mite e gentile. Il termine greco qui tradotto “benignità” significa alla lettera “arrendevolezza”, e potrebbe anche essere reso “ragionevolezza”. Questa è una delle qualità predominanti di Cristo Gesù. Quando era sulla terra, Gesù rifletté alla perfezione il supremo esempio di ragionevolezza di suo Padre (Gv 14:9). Anche Paolo manifestava questa qualità; infatti, benché i corinti avessero bisogno di energici consigli, qui li supplica con gentilezza invece di dare semplicemente degli ordini.

ragionevolezza Il termine greco reso “ragionevolezza” ha un ampio significato; descrive chi è arrendevole, amabile o tollerante. È la qualità di chi non insiste perché la legge venga applicata alla lettera o di chi non rivendica i propri diritti. Una persona ragionevole è disposta ad adeguarsi alle circostanze, è gentile e tiene conto degli altri. La ragionevolezza di un cristiano dovrebbe essere visibile a tutti, ovvero anche a chi non fa parte della congregazione. Una traduzione biblica rende infatti così questa prima parte del versetto: “Abbiate la reputazione di essere ragionevoli”. Anche se tutti i cristiani si sforzano di manifestarla, la ragionevolezza è soprattutto un requisito per i sorveglianti nella congregazione (1Tm 3:3; Tit 3:2; Gc 3:17; vedi approfondimento a 2Co 10:1).

Il Signore è vicino In questo contesto il titolo “Signore” può riferirsi sia a Geova Dio sia a Gesù Cristo. Qui comunque Paolo sembra riecheggiare alcune affermazioni che si trovano nelle Scritture Ebraiche in cui ci si riferisce a Geova, come Sl 145:18: “Geova è vicino a tutti quelli che lo invocano”. (Vedi anche Sl 34:18.) Dio “è vicino” perché si avvicina a tutti quelli che si avvicinano a lui; inoltre ascolta le preghiere dei suoi servitori e li protegge (At 17:27; Gc 4:8). Saperlo vicino può aiutare i cristiani a rallegrarsi, a manifestare ragionevolezza e, come dice il v. 6, a non essere eccessivamente in ansia. Dio “è vicino” anche nel senso che è vicino il tempo in cui sostituirà questo vecchio mondo con un mondo nuovo sotto il suo Regno (1Gv 2:17). In questo versetto qualche traduzione delle Scritture Greche Cristiane in ebraico e in altre lingue ha il nome divino invece del titolo “Signore”.

la preoccupazione Il termine greco mèrimna, reso “preoccupazione”, può anche essere tradotto “cura ansiosa”, “apprensione”. Il fatto che Paolo menzioni questo aspetto insieme a tutti i pericoli e le avversità elencati nei versetti precedenti rivela quanto fosse preoccupato per i compagni di fede (2Co 11:23-27). Paolo si teneva in contatto con diversi fratelli, che lo aggiornavano sulla condizione spirituale dei cristiani delle varie congregazioni (2Co 7:6, 7; Col 4:7, 8; 2Tm 4:9-13). Si preoccupava sinceramente che tutti rimanessero fedeli a Dio sino alla fine. (Vedi l’approfondimento a 1Co 12:25, dove il verbo affine merimnào ha un significato simile.)

smettete di essere ansiosi O “smettete di preoccuparvi”. Il tempo del verbo greco qui presente costruito con la negazione esprime l’ordine di interrompere un’azione che è già iniziata. Il verbo (merimnào) può riferirsi alle preoccupazioni che prendono il sopravvento nella mente di una persona e la distraggono al punto di farle perdere la gioia. Lo stesso verbo compare anche in Lu 12:11, 25, 26, ed è usato da Paolo in 1Co 7:32-34 e Flp 4:6. (Vedi approfondimento a Mt 6:25.)

Non siate in ansia Il testo originale potrebbe anche essere tradotto “smettete di essere in ansia” o “smettete di preoccuparvi”. Il verbo qui usato (merimnào) può descrivere uno stato di agitazione o preoccupazione eccessiva che prende il sopravvento nella mente di una persona e la distrae al punto di farle perdere la gioia. Anche Gesù fece più volte una raccomandazione simile a quella di questo versetto. (Vedi approfondimenti a Mt 6:25; Lu 12:22.) Nelle sue circostanze Paolo aveva motivi più che validi per essere ansioso. Mentre scriveva questa lettera, ad esempio, era agli arresti durante la sua prima detenzione a Roma (Flp 1:7, 13, 14); poteva inoltre avere preoccupazioni di carattere economico (Flp 4:12) o essere in ansia per il benessere dei fratelli (2Co 11:28 e approfondimento). Ma ai compagni di fede alle prese con una qualunque di queste circostanze fa la seguente esortazione: “Le vostre richieste siano rese note a Dio”. (Vedi anche Sl 55:2, 22; 1Pt 5:7.)

in ogni cosa Qualunque cosa influisca sulla vita di un cristiano in quanto servitore di Dio o sul suo rapporto con Lui può giustamente essere oggetto di preghiera. Fintanto che sono in armonia con la volontà di Dio, le preghiere possono abbracciare praticamente ogni aspetto della vita. Il cristiano può sentirsi libero di parlare a Geova dei suoi più intimi sentimenti, bisogni, timori e affanni (Mt 6:9-13; Gv 14:13 e approfondimento, 14; 16:23, 24; 1Pt 5:7; 1Gv 5:14).

preghiere e suppliche accompagnate da ringraziamenti Il sostantivo “preghiera” usato qui è un termine generico con cui si intende il parlare con devozione a Dio. Il sostantivo “supplica” è più specifico; si tratta di una parola molto forte che dà l’idea di un’implorazione, spesso accompagnata da intense emozioni e anche lacrime (Eb 5:7). Un’opera di consultazione ne parla come di un “grido d’aiuto che nasce da uno stato di bisogno”. Aggiungendo poi “accompagnate da ringraziamenti”, Paolo dimostra che è sempre giusto esprimere gratitudine a Dio. Anche in momenti di grave difficoltà ci sono motivi per essere grati, e Paolo lo sapeva per esperienza personale (At 16:22-25; Ef 5:19, 20). L’apostolo menziona anche le richieste. Questa categoria, come dice la parola stessa, si concentra sulle cose che si chiedono in preghiera. Le richieste del cristiano, come spiega Paolo, possono abbracciare un’ampia gamma di necessità. (Vedi l’approfondimento in ogni cosa in questo versetto.)

qualunque cosa chiederete nel mio nome Qui Gesù introduce qualcosa di nuovo in relazione alla preghiera. Prima d’allora Geova non aveva mai richiesto che si pregasse nel nome di qualcuno. Ad esempio, anche se Mosè aveva agito da mediatore tra la nazione d’Israele e Geova, Geova non aveva detto agli israeliti di pregare nel nome di Mosè. Comunque, l’ultima sera che trascorse con i suoi discepoli prima di morire, Gesù rivelò questo nuovo modo di pregare usando quattro volte l’espressione ‘chiedere nel mio nome’ (Gv 14:13, 14; 15:16; 16:23, 24). Dato che acquistò l’umanità dando in sacrificio la sua vita perfetta, Gesù è l’unico strumento attraverso il quale le benedizioni promesse da Dio vengono estese all’umanità (Ro 5:12, 18, 19; 1Co 6:20; Gal 3:13). L’atto compiuto da Gesù fece di lui l’unico Mediatore legale tra Dio e gli uomini (1Tm 2:5, 6), l’unico attraverso il quale le persone possono essere liberate dalla maledizione del peccato e della morte (At 4:12). È quindi appropriato che sia Gesù l’unico mezzo per avvicinarsi a Dio (Eb 4:14-16). Coloro che pregano nel nome di Gesù riconoscono il ruolo vitale che riveste.

smettete di essere ansiosi O “smettete di preoccuparvi”. Il tempo del verbo greco qui presente costruito con la negazione esprime l’ordine di interrompere un’azione che è già iniziata. Il verbo può riferirsi alle preoccupazioni che prendono il sopravvento nella mente di una persona e la distraggono al punto di farle perdere la gioia. Lo stesso verbo compare in Mt 6:27, 28, 31, 34.

pace Il termine greco originale ha un’ampia gamma di sfumature. In questo contesto “pace” implica la serenità interiore che deriva da una stretta amicizia con Geova, “l’Iddio [o “Dio”] della pace” (Flp 4:9; 1Ts 5:23; Eb 13:20; vedi approfondimento a 1Co 14:33). Nella Bibbia viene spesso menzionata insieme allo spirito santo di Dio (At 9:31; Ro 8:6; 15:13). Con l’aiuto del suo spirito, chi è in pace con Dio promuove armonia, unità e buoni rapporti con gli altri (Mt 5:9; 2Co 13:11; Gc 3:18).

cuore Quando è usato in senso figurato, il termine si riferisce generalmente all’essere interiore di una persona nella sua totalità. Comunque, quando è menzionato con “anima” e “mente”, a quanto pare assume un significato più specifico e si riferisce principalmente alle emozioni, ai desideri e ai sentimenti di una persona. Le tre parole “cuore”, “anima” e “mente” non si riferiscono a tre concetti totalmente diversi; vengono usate con un significato che in parte si sovrappone, sottolineando nel modo più incisivo possibile il bisogno di un amore completo e assoluto verso Dio.

la pace di Dio L’espressione si riferisce alla calma interiore e alla serenità che un cristiano trae dal prezioso rapporto che lo lega a Geova Dio. Questa pace si può provare anche in circostanze burrascose e critiche. “La pace di Dio” non si raggiunge grazie alla semplice meditazione o a uno sforzo personale; deriva invece da Geova Dio stesso, “l’Iddio della pace” (Flp 4:9; Nu 6:26; Sl 4:8; 29:11; Ro 15:33; vedi approfondimento a Gal 5:22). Per avere “la pace di Dio” bisogna avere una stretta amicizia con lui e fare ciò che è giusto ai suoi occhi (Pr 3:32). Geova dà ai suoi servitori la garanzia che lui conosce i loro bisogni, le loro situazioni, e che risponde alle preghiere che gli rivolgono, e questo li rasserena nel cuore e nella mente (Sl 34:18; 94:14; 2Pt 2:9; vedi l’approfondimento custodirà in questo versetto).

che è al di là di ogni comprensione La pace di Dio non può essere ottenuta attingendo alle proprie capacità di ragionamento o di pianificazione. Anzi, certe volte una maggiore “comprensione” di una certa situazione porta a una maggiore ansia e frustrazione (Ec 1:18). La pace di Dio, invece, va “al di là” di qualunque cosa l’essere umano possa immaginare. A volte, infatti, un servitore di Geova non riesce a vedere la soluzione a un suo problema. Comunque, anche se Dio può fare qualcosa di inaspettato e salvare i suoi servitori dalla prova (Mr 10:27; 2Pt 2:9), in alcune circostanze l’unica soluzione potrebbe essere perseverare pazientemente (Gc 5:11). In queste situazioni Geova dà sempre pace a quelli che confidano completamente in lui (Isa 26:3). Chi non conosce Geova non può comprendere appieno la serenità e la pace interiore di cui godono i suoi servitori davanti a problemi gravi, pericoli fisici e addirittura la morte.

custodirà Il verbo greco per “custodire” appartiene al gergo militare. Nel suo significato letterale poteva riferirsi a una sentinella o a una guarnigione che aveva il compito di proteggere una città fortificata (2Co 11:32). Qui e altrove nelle Scritture Greche Cristiane è usato con significato metaforico (Gal 3:23; 1Pt 1:5). Filippi era una città a carattere militare. I suoi abitanti dormivano tranquilli perché sapevano che c’erano dei soldati di guardia alle porte della città. In modo simile, i cristiani fedeli godono di pace interiore e sicurezza spirituale perché hanno “la pace di Dio” che protegge il loro cuore e la loro mente. Sanno che Geova ha cura di loro e vuole il meglio per loro (Sl 4:8; 145:18; 1Co 10:13; 1Pt 5:10). Questa consapevolezza li protegge nel senso che non vengono sopraffatti da ansia o scoraggiamento. (Vedi l’approfondimento la pace di Dio in questo versetto.)

il vostro cuore Quando è usato in senso figurato, il termine “cuore” spesso si riferisce all’essere interiore di una persona nella sua totalità. Comunque, quando è menzionato con la mente, o le “facoltà mentali”, a quanto pare assume un significato più specifico e si riferisce principalmente alle emozioni, ai desideri e ai motivi di una persona. (Vedi approfondimento a Mt 22:37.)

le vostre facoltà mentali O “la vostra mente”, “i vostri pensieri”. Il sostantivo greco usato qui da Paolo si riferisce all’intelletto di una persona. È reso “mente” in 2Co 3:14; 4:4; 11:3 e “pensiero” in 2Co 10:5. Menzionando insieme il “cuore” e le “facoltà mentali”, Paolo sottolinea che “la pace di Dio” protegge la persona interiore del cristiano nella sua totalità.

mediante Cristo Gesù I cristiani possono ricevere la pace che Dio dà solo se hanno fede in Gesù e comprendono il ruolo che ricopre nel proposito divino. La ragione è che il sacrificio di riscatto di Gesù ha reso possibile il perdono dei peccati, grazie al quale possono stringere un’amicizia con Geova. Questa amicizia è fondamentale per poter godere di autentica pace interiore (At 3:19; Gal 1:3-5; 1Gv 2:12). I cristiani inoltre traggono conforto ricordando che, quale Re del Regno di Dio, Gesù annullerà tutti i danni che Satana e il suo sistema hanno causato (Isa 65:17; 1Gv 3:8; Ri 21:3, 4). In più Gesù ha promesso di stare accanto ai suoi discepoli per aiutarli ad affrontare gli ultimi giorni di questo sistema, il che contribuisce alla loro pace interiore (Mt 28:19, 20; Flp 1:18, 19).

giuste Vedi Glossario, “giustizia, giusto”.

caste O “pure”. Il termine greco originale significa puro e santo non solo per quanto riguarda i comportamenti (in ambito sessuale o d’altro genere), ma anche per quanto riguarda pensieri e motivi (Sl 24:3, 4; Ef 5:3; 1Tm 4:12; 5:2; Gc 3:17; 1Pt 3:2).

continuate a considerare Il verbo greco usato da Paolo trasmette l’idea di “pensare”, “meditare” o “riflettere”. Il modo in cui il verbo è usato suggerisce un’azione che dura nel tempo. Per questo motivo alcune traduzioni lo rendono con “riempite tutti i vostri pensieri con” o “non smettete di pensare a”. Riflettere sulle cose edificanti elencate da Paolo spinge il cristiano ad agire, dando un’impronta a tutta la sua vita (Flp 4:9).

Signore In questo contesto il titolo “Signore” (in greco senza l’articolo determinativo) può riferirsi sia a Geova Dio sia a Gesù Cristo. Comunque il fatto che diverse traduzioni delle Scritture Greche Cristiane in ebraico e in inglese usino in questo punto il nome divino porta a ritenere che qui si riferisca a Geova. (Vedi approfondimento a Flp 4:4.)

Rallegratevi sempre nel Signore Ancora una volta Paolo incoraggia i filippesi a rallegrarsi nel Signore. (Vedi approfondimento a Flp 3:1.) Anche se in questo contesto il titolo “Signore” può riferirsi sia a Geova Dio sia a Gesù Cristo, Paolo sembra riecheggiare alcune esortazioni che si trovano nelle Scritture Ebraiche e che si riferiscono a Geova (Sl 32:11; 97:12).

autosufficiente I termini greci resi “autosufficiente” (2Co 9:8; Flp 4:11) o “autosufficienza” (1Tm 6:6, nt.) trasmettono l’idea di sapersi accontentare, essendo soddisfatti di quello che si ha, oppure di avere abbastanza da non dover dipendere dagli altri. Paolo aveva imparato per esperienza diretta ad adattarsi a qualunque circostanza nella quale si era imbattuto nei suoi viaggi. Qualsiasi incarico Geova gli affidasse, era felice e soddisfatto (Flp 4:12, 13). Paolo imitava Gesù, il quale non aveva cercato di accumulare grandi ricchezze o di trovare una sistemazione stabile (Mt 8:20). E come Gesù si concentrò sul fare la volontà di Dio, con la certezza che Lui si sarebbe preso cura dei suoi bisogni fondamentali (Eb 13:5).

Macedonia Vedi Glossario.

al dare e all’avere L’espressione usata da Paolo era solitamente usata in ambito commerciale per riferirsi a debiti e crediti. Senza alcun dubbio Paolo si sta riferendo all’aiuto economico che aveva ricevuto dai cristiani di Filippi. Questi fratelli, mossi dalla riconoscenza per le benedizioni spirituali che avevano avuto tramite Paolo, lo avevano sostenuto con doni materiali. (Confronta 1Co 9:11.) Sin dagli inizi, quando Lidia aveva mostrato a Paolo e ai suoi compagni un’ospitalità straordinaria, i filippesi si erano guadagnati la reputazione di fratelli generosi (At 16:14, 15). Almeno in quattro occasioni la congregazione aveva inviato a Paolo del denaro per aiutarlo nel suo ministero. L’ultima di quelle occasioni — quella in cui era stato Epafrodito a portare il denaro a Paolo detenuto a Roma — era stata una delle ragioni per cui Paolo scrisse loro questa lettera (2Co 11:9; Flp 4:14, 16, 18). Nelle sue lettere, Paolo lodò varie congregazioni cristiane per la loro generosità, che incoraggiò tutti i discepoli a manifestare lo stesso spirito (Ro 15:26; 2Co 8:1-6).

Dio Qui alcune traduzioni delle Scritture Greche Cristiane in ebraico e in altre lingue usano il nome divino.

Amen O “così sia”, “di sicuro”. Il greco amèn è la traslitterazione di un termine ebraico che deriva da ʼamàn, radice ebraica che vuol dire “essere fedele”, “essere degno di fiducia”. (Vedi Glossario.) Si usava dire “amen” per indicare che si era d’accordo con un giuramento, una preghiera o una dichiarazione. Gli scrittori delle Scritture Greche Cristiane spesso usavano questo termine per confermare un’espressione di lode a Dio appena pronunciata, come fa in questo caso Paolo (Ro 16:27; Ef 3:21; 1Pt 4:11). In altri casi, quando lo scrittore esprimeva il desiderio che Dio mostrasse favore ai destinatari della lettera, ricorreva a questo termine per sottolineare quanto detto (Ro 15:33; Eb 13:20, 21). Lo si usava anche per avvalorare con enfasi una dichiarazione appena fatta (Ri 1:7; 22:20).

quelli della casa di Cesare Siamo nel 61 ca., e il Cesare in carica, ovvero l’imperatore, è Nerone. (Vedi Glossario, “Cesare”.) La “casa di Cesare” non era necessariamente la stretta cerchia familiare dell’imperatore; poteva includere anche tutta la schiera di quelli al suo servizio, fino a migliaia di persone. Tra questi erano inclusi schiavi, liberti e persino coloro che prestavano servizio nei vari ambiti della pubblica amministrazione sia a Roma che nelle province, come pure le loro mogli e i figli. Lo scrittore ebreo Filone Alessandrino, per riferirsi a questo stesso vasto gruppo di persone, usò la medesima espressione greca (Contro Flacco, 35). Paolo non dice che legame avesse con i cristiani della casa di Cesare mentre era detenuto a Roma, né dice se lui stesso avesse avuto una parte nella loro conversione. Non è noto nemmeno il legame che univa i fratelli di Filippi e quelli della casa di Cesare. È possibile che alcuni cristiani di Filippi fossero parenti o amici di cristiani al servizio dell’imperatore. Alcuni di questi ultimi forse erano tra coloro ai quali Paolo mandò i suoi saluti alla fine della lettera ai Romani (Ro 16:3-16).

immeritata bontà Vedi Glossario.

con lo spirito che voi mostrate Lett. “con lo spirito di voi”. In questo contesto la parola “spirito” si riferisce a quella forza interiore o inclinazione mentale dominante che spinge una persona a dire o a fare le cose in un certo modo. Per esempio nelle Scritture si parla di “spirito quieto e mite” (1Pt 3:4) e di “spirito di mitezza” (Gal 6:1). In 2Tm 1:7 Paolo fa un contrasto tra “uno spirito di codardia” e uno “di potenza, di amore e di assennatezza”. Conclude poi la sua lettera a Timoteo dicendo: “Il Signore sia con lo spirito che tu mostri” (2Tm 4:22). Proprio come un singolo individuo, anche un gruppo di persone può manifestare un certo spirito. Qui nelle parole conclusive rivolte ai galati, così come in quelle ai filippesi, Paolo usa il plurale “voi” per esprimere il suo desiderio che nella congregazione tutti manifestino uno spirito conforme alla volontà di Dio e all’esempio lasciato da Cristo (Flp 4:23).

immeritata bontà Vedi Glossario.

con lo spirito che voi mostrate Vedi approfondimento a Gal 6:18.

che voi mostrate Dopo queste parole, alcuni antichi manoscritti aggiungono il termine “Amen”, ma la lezione che non lo include è ben attestata nei manoscritti disponibili ed è considerata da molti studiosi la versione originale.

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Una lettera sull’amore e la gioia
Una lettera sull’amore e la gioia

Quando Epafrodito tornò da Roma a Filippi, portò con sé una lettera dell’apostolo Paolo, all’epoca detenuto proprio a Roma (Flp 1:13; 2:25; 4:18). La lettera, che era indirizzata ai cristiani di Filippi, era incentrata sull’amore e la gioia (Flp 1:4; 2:17, 18; 3:1; 4:1, 4). Paolo non scrisse loro per affrontare argomenti spinosi o dare consigli energici, come aveva fatto invece in altre sue lettere. Anche se esortò Evodia e Sintiche a collaborare pacificamente, descrisse quelle due sorelle fedeli come “donne che [avevano] combattuto al [suo] fianco per la buona notizia”; incoraggiò inoltre un suo compagno d’opera a continuare ad aiutarle (Flp 4:3). Più volte Paolo invita la congregazione di Filippi a non smettere di progredire (Flp 3:16).