Prima lettera a Timoteo 6:1-21

6  Quelli che si trovano sotto il giogo della schiavitù continuino a considerare i loro padroni degni di ogni onore,+ affinché non si parli in modo offensivo del nome di Dio e del suo insegnamento.+  Inoltre quelli che hanno padroni credenti non manchino loro di rispetto solo perché sono fratelli. Piuttosto, servano con maggiore impegno, proprio perché quelli che beneficiano del loro buon servizio sono credenti e amati. Continua a insegnare queste cose e a dare queste esortazioni.  Se qualcuno insegna un’altra dottrina e non è d’accordo con il sano insegnamento+ che viene dal nostro Signore Gesù Cristo, né con l’insegnamento che è in armonia con la devozione a Dio,+  è pieno d’orgoglio e non capisce nulla;+ è ossessionato da discussioni e dibattiti intorno a parole.+ Queste cose suscitano invidie, liti, calunnie, sospetti maligni  e continue dispute su questioni frivole da parte di uomini mentalmente corrotti+ e privi della verità, i quali pensano che la devozione a Dio* sia una fonte di guadagno.+  Certo, la devozione a Dio è fonte di grande guadagno,+ purché ci si sappia accontentare.  Infatti non abbiamo portato nulla nel mondo, e nulla possiamo portarne via.+  Quindi, avendo di che mangiare e di che vestirci, di queste cose ci accontenteremo.+  Ma quelli che sono decisi a diventare ricchi cadono in tentazione, in una trappola+ e in molti desideri insensati e dannosi, che fanno sprofondare gli uomini nella distruzione e nella rovina.+ 10  L’amore del denaro infatti è la radice di ogni tipo di male,+ e facendosi prendere da questo amore alcuni si sono sviati dalla fede e si sono procurati molti dolori.+ 11  Comunque tu, uomo di Dio, rifuggi queste cose. Persegui invece giustizia, devozione a Dio, fede, amore, perseveranza e mitezza.+ 12  Combatti l’eccellente combattimento della fede;+ afferra saldamente la vita eterna a cui sei stato chiamato e per cui hai fatto l’eccellente dichiarazione pubblica di fronte a molti testimoni. 13  Alla presenza di Dio, che conserva in vita tutte le cose, e di Cristo Gesù, che come testimone fece l’eccellente dichiarazione pubblica davanti a Ponzio Pilato,+ ti ordino 14  di osservare il comandamento in modo immacolato e irreprensibile fino alla manifestazione del nostro Signore Gesù Cristo,+ 15  manifestazione che il felice e unico Governante mostrerà al tempo stabilito. Lui è il Re di quelli che sono re e il Signore di quelli che sono signori,+ 16  l’unico che ha l’immortalità,+ che risiede in una luce inaccessibile+ e che nessun uomo ha visto né può vedere.+ A lui vadano l’onore e il potere eterno. Amen. 17  A quelli che sono ricchi nell’attuale sistema di cose ordina di non essere arroganti e di riporre la loro speranza non nelle ricchezze incerte,+ ma in Dio, che ci provvede in abbondanza tutte le cose di cui godiamo.+ 18  Di’ loro di fare il bene, di essere ricchi di opere eccellenti, generosi, pronti a condividere,+ 19  così si metteranno da parte un tesoro sicuro, un eccellente fondamento per il futuro,+ in modo da afferrare saldamente la vera vita.+ 20  Timòteo, custodisci quello che ti è stato affidato,+ evitando i discorsi vuoti che violano ciò che è santo e le contraddizioni di quella che è falsamente chiamata “conoscenza”.+ 21  Per ostentare tale conoscenza alcuni hanno deviato dalla fede. L’immeritata bontà sia con voi.

Note in calce

O “santa devozione”.

Approfondimenti

Il mio Regno non fa parte di questo mondo Gesù non diede una risposta diretta alla domanda di Pilato: “Cosa hai fatto?” (Gv 18:35). Si concentrò invece sulla sua prima domanda: “Sei tu il re dei giudei?” (Gv 18:33). Nella sua breve risposta Gesù menzionò tre volte il Regno di cui sarebbe diventato Re. Dicendo: “Il mio Regno non fa parte di questo mondo”, Gesù chiarì che il Regno non è di origine umana. Questo è in armonia con i riferimenti che in precedenza aveva fatto al “Regno dei cieli” e al “Regno di Dio” (Mt 3:2; Mr 1:15). Gesù aveva detto che anche i suoi discepoli non facevano “parte del mondo”, cioè l’ingiusta società umana che è lontana da Dio e non include i suoi servitori (Gv 17:14, 16). Con le parole che aveva rivolto a Pietro la sera prima, aveva fatto capire che i suoi discepoli non avrebbero dovuto combattere per difenderlo come invece avrebbero fatto i sostenitori di un re umano (Mt 26:51, 52; Gv 18:11).

padroni terreni Qui Paolo esorta gli schiavi cristiani a ubbidire ai loro padroni terreni (lett. “secondo [la] carne”). Gli schiavi cristiani così come i loro padroni terreni dovevano ricordare che nei cieli avevano un padrone superiore (Ef 6:9).

non solo quando vi vedono, come per piacere agli uomini Lett. “non con un servizio per l’occhio, come quelli che vogliono piacere agli uomini”. Uno schiavo cristiano non doveva essere ubbidiente o lavorare con impegno solo quando il suo padrone era presente, nel tentativo di fare una buona impressione. Doveva piuttosto servire “con tutta l’anima”, “nel timore di Geova” (Ef 6:5-8; Col 3:22-25).

sotto il giogo della schiavitù Lett. “schiavi sotto un giogo”. Il termine “giogo” era spesso usato in senso figurato per intendere schiavitù, o asservimento, sotto l’autorità di un padrone (Tit 2:9, 10; 1Pt 2:18; vedi Glossario, “giogo”). Nell’impero romano c’erano molti schiavi, inclusi alcuni cristiani. I discepoli di Gesù non approvavano né contestavano la schiavitù come istituzione (1Co 7:20, 21). Lo stesso Gesù non si impegnò in nessuna riforma della società del suo tempo e disse che, come lui, i suoi seguaci “non [avrebbero fatto] parte del mondo” (Gv 17:14). Gesù piuttosto predicò il Regno di Dio, che avrebbe infine eliminato ogni forma di oppressione e ingiustizia. (Vedi approfondimento a Gv 18:36; vedi anche Galleria multimediale, “Le mansioni di uno schiavo”.)

continuino a considerare i loro padroni degni di ogni onore Paolo incoraggia i cristiani che erano schiavi a rispettare i loro padroni. L’atteggiamento di uno schiavo si rifletteva sulle sue azioni, determinando quindi il modo coscienzioso o meno in cui svolgeva il suo lavoro. Lo schiavo credente che non rispettava il padrone avrebbe lasciato intendere che gli insegnamenti cristiani non avevano prodotto alcun reale cambiamento nella sua vita. Il suo pessimo esempio avrebbe disonorato il nome di Dio (Col 3:22, 23; vedi approfondimenti a Ef 6:5, 6).

quelli che hanno padroni credenti Qui Paolo menziona il caso in cui sia il padrone sia lo schiavo erano cristiani. Quali “coeredi di Cristo”, agli occhi di Dio erano uguali (Ro 8:17). Per questo motivo Paolo esorta lo schiavo cristiano a non approfittarsi del padrone, che era anche suo fratello spirituale, facendo il minimo indispensabile. Al contrario, dal momento che amava suo fratello, avrebbe svolto il suo lavoro nel modo più diligente e fidato possibile. Allo stesso tempo, il padrone cristiano aveva l’obbligo di trattare lo schiavo in modo giusto ed equo (Ef 6:9; Col 4:1).

sane parole I due termini che compaiono nell’originale sono resi “sano insegnamento” in 1Tm 6:3, dove Paolo spiega che questo insegnamento “viene dal nostro Signore Gesù Cristo”. Perciò l’espressione “sane parole” fa riferimento ai veri insegnamenti cristiani. (Vedi approfondimento a 1Tm 6:3.) Tutto ciò che Gesù ha insegnato e fatto è in armonia con gli altri insegnamenti della Bibbia; ecco perché le “sane [o “benefiche”] parole” possono riferirsi per estensione a tutti gli insegnamenti biblici.

devozione a Dio Il termine greco eusèbeia trasmette l’idea di profonda riverenza e rispetto che un cristiano esprime a Dio servendolo lealmente e ubbidendogli in modo completo. Ha un significato ampio, infatti fa anche pensare a quell’amore leale o a quell’attaccamento verso Dio che spinge una persona a cercare di fare ciò che piace a lui. Un lessico riassume così il significato generale di questo termine: “vivere come Dio vuole che viviamo”. Paolo fa anche capire che la devozione a Dio non è una caratteristica innata. È per questo motivo che esorta Timoteo a darsi da fare per rafforzare questa qualità, esercitandosi, o allenandosi, come fa un atleta. Poco prima nella lettera, Paolo gli ha ricordato che Gesù Cristo ha lasciato l’esempio più incisivo di devozione a Dio. (Vedi approfondimento a 1Tm 3:16.)

devozione a Dio O “santa devozione”. Il termine greco usato qui, eusèbeia, fa riferimento a un senso di riverenza e di profondo rispetto nei confronti di Dio; per questo motivo la parola “Dio”, anche se non compare nel termine originale, è stata esplicitata. (Per una trattazione del termine greco reso “devozione a Dio”, vedi approfondimento a 1Tm 4:7.) Questo stesso termine a volte viene usato anche nella Settanta. Per esempio compare in Isa 11:2 e 33:6, dove il testo ebraico usa l’espressione “timore di Geova”, che si riferisce ugualmente a profondo rispetto per Geova Dio. Quando nel V secolo fu realizzata la Pescitta, traduzione della Bibbia in siriaco, in 1Tm 2:2 il termine greco eusèbeia fu reso “riverenza verso Dio”, con l’esplicitazione della parola “Dio”. Sulla stessa falsariga, alcune successive traduzioni in ebraico delle Scritture Greche Cristiane hanno reso eusèbeia con “timore di Geova” sia in questo versetto sia in altri dove compare il termine (1Tm 3:16; 4:7, 8; 6:3, 6, 11). Comunque, il Comitato di Traduzione della Bibbia del Nuovo Mondo ha ritenuto che non ci fossero sufficienti ragioni a sostegno del ripristino del nome divino nel testo principale di questo versetto. (Per altre ragioni prese in considerazione nel valutare se ripristinare il nome divino in altri versetti, vedi App. C; confronta approfondimento a Ro 10:12.)

il sano insegnamento Qui Paolo si riferisce agli insegnamenti del Signore Gesù Cristo. Comunque, dal momento che tutto ciò che Gesù ha insegnato è in armonia con il resto delle Scritture, l’espressione “sano [o “benefico”] insegnamento” può riferirsi per estensione a tutti gli insegnamenti biblici. (Vedi approfondimento a 2Tm 1:13.)

devozione a Dio Per una trattazione dell’espressione “devozione a Dio”, vedi approfondimento a 1Tm 4:7; vedi anche approfondimento a 1Tm 2:2.

è ossessionato da discussioni Il verbo greco usato da Paolo significa alla lettera “essere malato”, ma qui ha un valore metaforico. L’intera espressione potrebbe essere resa: “ha un’insana attrazione per le discussioni”. Questa attrazione però è in contrasto con “il sano insegnamento” che viene da Cristo e che Paolo ha appena menzionato. (Vedi approfondimento a 1Tm 6:3.)

dibattiti intorno a parole L’espressione traduce un unico termine greco (logomachìa) che è composto dal sostantivo lògos (“parola”, “discorso”) e dal verbo màchomai (“battagliare”). Chi “è ossessionato da discussioni” spesso disquisisce su cose futili con il solo scopo di promuovere i propri insegnamenti, e non la gloria di Dio. Tali dibattiti “suscitano invidie, liti”, e possono addirittura portare a calunnie (in greco blasfemìa), ovvero espressioni offensive che diffamano altri. (Vedi approfondimento a Col 3:8.)

linguaggio offensivo Qui Paolo usa un termine greco (blasfemìa) che viene spesso tradotto “bestemmia” quando indica una parola o frase irriverente verso Dio (Ri 13:6). In origine comunque il senso non era ristretto a quello di ingiurie rivolte a Dio. Il termine poteva anche riferirsi a espressioni cattive o diffamatorie contro esseri umani, e il contesto mostra che è proprio questo il senso con cui lo usa Paolo. (Vedi anche Ef 4:31.) Altre traduzioni usano rese come “calunnia”, “maldicenza” e “insulti”. Commentando questa parola, un’opera di consultazione dice: “Descrive il tentativo di sminuire qualcuno e farlo cadere in discredito o rovinargli la reputazione”.

il sano insegnamento Qui Paolo si riferisce agli insegnamenti del Signore Gesù Cristo. Comunque, dal momento che tutto ciò che Gesù ha insegnato è in armonia con il resto delle Scritture, l’espressione “sano [o “benefico”] insegnamento” può riferirsi per estensione a tutti gli insegnamenti biblici. (Vedi approfondimento a 2Tm 1:13.)

devozione a Dio O “santa devozione”. Il termine greco usato qui, eusèbeia, fa riferimento a un senso di riverenza e di profondo rispetto nei confronti di Dio; per questo motivo la parola “Dio”, anche se non compare nel termine originale, è stata esplicitata. (Per una trattazione del termine greco reso “devozione a Dio”, vedi approfondimento a 1Tm 4:7.) Questo stesso termine a volte viene usato anche nella Settanta. Per esempio compare in Isa 11:2 e 33:6, dove il testo ebraico usa l’espressione “timore di Geova”, che si riferisce ugualmente a profondo rispetto per Geova Dio. Quando nel V secolo fu realizzata la Pescitta, traduzione della Bibbia in siriaco, in 1Tm 2:2 il termine greco eusèbeia fu reso “riverenza verso Dio”, con l’esplicitazione della parola “Dio”. Sulla stessa falsariga, alcune successive traduzioni in ebraico delle Scritture Greche Cristiane hanno reso eusèbeia con “timore di Geova” sia in questo versetto sia in altri dove compare il termine (1Tm 3:16; 4:7, 8; 6:3, 6, 11). Comunque, il Comitato di Traduzione della Bibbia del Nuovo Mondo ha ritenuto che non ci fossero sufficienti ragioni a sostegno del ripristino del nome divino nel testo principale di questo versetto. (Per altre ragioni prese in considerazione nel valutare se ripristinare il nome divino in altri versetti, vedi App. C; confronta approfondimento a Ro 10:12.)

non siamo venditori della parola di Dio O “non facciamo commercio del messaggio di Dio”, “non traiamo guadagno dal messaggio di Dio”. A differenza dei falsi insegnanti, Paolo, gli apostoli e i loro collaboratori predicavano il messaggio di Dio senza alterarlo, e non erano mossi da cattivi motivi. Il verbo greco qui reso “siamo venditori” (kapelèuo) in origine si riferiva all’attività di un commerciante al dettaglio o di un oste, un taverniere, ma con il tempo finì per includere l’idea di essere fraudolenti e avidi. Nella Settanta un sostantivo greco affine a questo verbo compare in Isa 1:22, nella frase “i tuoi mercanti di vino [“tavernieri”] mescolano il vino con acqua”. In epoca classica era consuetudine diluire il vino con acqua. Per guadagnare di più, alcuni aumentavano la percentuale di acqua usata. È stato quindi ipotizzato che Paolo stesse alludendo a questi venditori di vino disonesti. La stessa metafora è usata nella letteratura greca per descrivere l’attività di filosofi itineranti che trasmettevano i loro insegnamenti in cambio di denaro. Quando Paolo dice che molti altri erano “venditori” della parola di Dio, a quanto pare aveva in mente i falsi ministri che aggiungevano alla Parola di Geova filosofie umane, tradizioni e falsi insegnamenti religiosi. Simbolicamente la annacquavano, e così ne alteravano profumo e gusto e ne indebolivano la capacità di rallegrare (Sl 104:15; vedi approfondimento a 2Co 4:2).

devozione a Dio Il termine greco eusèbeia trasmette l’idea di profonda riverenza e rispetto che un cristiano esprime a Dio servendolo lealmente e ubbidendogli in modo completo. Ha un significato ampio, infatti fa anche pensare a quell’amore leale o a quell’attaccamento verso Dio che spinge una persona a cercare di fare ciò che piace a lui. Un lessico riassume così il significato generale di questo termine: “vivere come Dio vuole che viviamo”. Paolo fa anche capire che la devozione a Dio non è una caratteristica innata. È per questo motivo che esorta Timoteo a darsi da fare per rafforzare questa qualità, esercitandosi, o allenandosi, come fa un atleta. Poco prima nella lettera, Paolo gli ha ricordato che Gesù Cristo ha lasciato l’esempio più incisivo di devozione a Dio. (Vedi approfondimento a 1Tm 3:16.)

la devozione a Dio è fonte di grande guadagno Paolo ricorre al termine greco reso “fonte di guadagno” in due frasi consecutive. Nel v. 5 lo ha utilizzato parlando di maestri falsi e corrotti che cercavano di sfruttare la congregazione usando la devozione a Dio come “fonte di guadagno”. Forse volevano farsi pagare per l’insegnamento che impartivano, o cercavano in altri modi di ottenere vantaggi materiali dai componenti della congregazione (2Tm 3:6; Tit 1:11; vedi approfondimento a 2Co 2:17). Oppure forse insegnavano che la devozione a Dio era un mezzo per diventare ricchi. Qui nel v. 6, però, Paolo parla di un “guadagno” di gran lunga maggiore, ovvero i benefìci spirituali che la devozione a Dio reca al cristiano.

devozione a Dio Per una trattazione dell’espressione “devozione a Dio”, vedi approfondimento a 1Tm 4:7; vedi anche approfondimento a 1Tm 2:2.

purché ci si sappia accontentare Qui Paolo mette in relazione la devozione a Dio con il sapersi accontentare, o “autosufficienza”, qualità in netto contrasto con le ambizioni materialistiche dei falsi maestri (1Tm 6:8). Il servitore di Dio che sa accontentarsi prova gioia e pace interiore. (Vedi approfondimento a Flp 4:11.)

autosufficiente I termini greci resi “autosufficiente” (2Co 9:8; Flp 4:11) o “autosufficienza” (1Tm 6:6, nt.) trasmettono l’idea di sapersi accontentare, essendo soddisfatti di quello che si ha, oppure di avere abbastanza da non dover dipendere dagli altri. Paolo aveva imparato per esperienza diretta ad adattarsi a qualunque circostanza nella quale si era imbattuto nei suoi viaggi. Qualsiasi incarico Geova gli affidasse, era felice e soddisfatto (Flp 4:12, 13). Paolo imitava Gesù, il quale non aveva cercato di accumulare grandi ricchezze o di trovare una sistemazione stabile (Mt 8:20). E come Gesù si concentrò sul fare la volontà di Dio, con la certezza che Lui si sarebbe preso cura dei suoi bisogni fondamentali (Eb 13:5).

nulla possiamo portarne via Il concetto espresso da Paolo in questo versetto era comune nel mondo classico, anche se con qualche variazione. Comunque, già secoli prima il re Salomone era stato ispirato a scrivere: “Come uno è uscito dal grembo di sua madre, così se ne andrà, nudo proprio com’è venuto; e non può portarsi via niente del frutto delle sue fatiche” (Ec 5:15; vedi anche Gb 1:21; Sl 49:17). Gesù espresse un pensiero simile nella parabola dell’uomo ricco (Lu 12:16-21). Con questa verità che fa riflettere, Paolo esorta i cristiani a evitare l’avidità e il materialismo e a ricercare invece l’appagamento duraturo che deriva dalla devozione a Dio (1Tm 6:6, 8-10).

di che vestirci O forse “un riparo”. Il termine greco letteralmente significa “copertura”. In questo versetto sembra riferirsi principalmente ai vestiti, ma potrebbe anche indicare più in generale qualcosa che copre o ripara, come ad esempio una casa.

quelli che sono decisi a diventare ricchi Paolo si riferisce non a chi può provare un desiderio momentaneo di avere più soldi, ma a chi è fortemente determinato nel proprio cuore a diventare ricco. Il modo di pensare di una persona del genere è falsato, distorto dall’avidità. Che sia ricco o povero, chiunque può maturare la ferma decisione di arricchire sempre di più.

fanno sprofondare gli uomini nella distruzione e nella rovina Chi cerca avidamente di arricchirsi è probabile che si faccia del male fisicamente, emotivamente e spiritualmente. Il verbo greco qui reso “fanno sprofondare” significa “mandare a fondo”, “affondare”. È usato in senso letterale in Lu 5:7, dove si legge che, a seguito della gran quantità di pesce pescato, due barche cominciarono ad affondare. Questo verbo trasmette l’idea che, per forza di cose, “quelli che sono decisi a diventare ricchi cadono in tentazione” nonché “in molti desideri [...] dannosi” che li fanno metaforicamente affondare; dal momento che incrinano la loro amicizia con Geova, si rovinano la vita.

non attaccato al denaro Chi è concentrato sull’accumulare beni materiali non può allo stesso tempo prestare la dovuta attenzione al pascere “il gregge di Dio” (1Pt 5:2). Chi si dedica alle cose materiali di questo mondo non può aiutare in modo concreto chi serve Dio a ottenere la vita eterna “nel sistema di cose futuro” (Lu 18:30). E non può essere incisivo quando insegna agli altri a “riporre la loro speranza [...] in Dio” mentre lui stesso confida “nelle ricchezze incerte” (1Tm 6:17). Perciò chi è “attaccato al denaro” non sarebbe idoneo a servire come sorvegliante. Quanto richiesto ai sorveglianti su questo argomento è in armonia con quello che la Bibbia consiglia a tutti i cristiani (Mt 6:24; 1Tm 6:10; Eb 13:5).

ricchezze ingiuste Lett. “mammona dell’ingiustizia”. Qui ricorre il termine greco mamonàs (di origine semitica), che è tradizionalmente reso “mammona” e che viene in genere inteso come un riferimento al denaro o alle ricchezze. (Vedi approfondimento a Mt 6:24.) Evidentemente Gesù definisce “ingiuste” le ricchezze dal momento che queste sono sotto il controllo di esseri umani peccatori, vengono di solito usate per fini egoistici e vengono spesso ottenute ricorrendo ad azioni ingiuste. Inoltre possedere o desiderare ricchezze materiali potrebbe portare a compiere azioni illegali. Visto che le ricchezze letterali possono perdere il loro valore, chi le possiede non dovrebbe fare affidamento su di esse (1Tm 6:9, 10, 17-19). Dovrebbe piuttosto usarle per farsi amici Geova e Gesù, che possono accoglierlo nelle dimore eterne.

figlio della distruzione In questo contesto l’espressione si riferisce a Giuda Iscariota, il quale, tradendo premeditatamente il Figlio di Dio, si rese meritevole di distruzione eterna, indegno di essere risuscitato. La stessa espressione compare in 2Ts 2:3 riferita all’“uomo dell’illegalità”. Nelle lingue originali in cui fu scritta la Bibbia, a volte l’espressione “figlio di” è usata in senso metaforico per indicare qualcuno che segue una certa linea di condotta o manifesta certe caratteristiche. Ecco alcuni esempi: “figli dell’Altissimo”, “figli della luce e figli del giorno”, “figli del Regno”, “figli del Malvagio”, “figlio del Diavolo” e “figli della disubbidienza” (Lu 6:35; 1Ts 5:5; Mt 13:38; At 13:10; Ef 2:2). L’espressione “figlio di” può anche essere usata in riferimento al giudizio o al risultato a cui porta una certa linea di condotta o una certa caratteristica. In 2Sa 12:5 l’espressione tradotta “merita di morire” significa alla lettera “figlio della morte”. Nel testo originale di Mt 23:15, per indicare che qualcuno merita la distruzione eterna, si usa l’espressione “figlio di Geenna”, che sembra essere proprio ciò che Gesù intendeva quando chiamò Giuda Iscariota “figlio della distruzione”. (Vedi approfondimento a Mt 23:15 e Glossario, “Geenna”.)

L’amore del denaro Dicendo che l’amore del denaro “è la radice di ogni tipo di male”, probabilmente Paolo si rifà a un proverbio molto conosciuto ai suoi giorni. Non condanna il denaro in sé, dato che ha un suo valore pratico (Ec 7:12; 10:19), ma l’amore del denaro; è questo a essere pericoloso. Nel v. 5 Paolo ha spiegato che alcuni falsi maestri si erano fatti prendere da questo amore, perciò non sorprende che in precedenza abbia specificato che un sorvegliante non deve essere “attaccato al denaro” (1Tm 3:1, 3 e approfondimento). Le Scritture indicano che tale amore è pericoloso anche sotto altri aspetti: è insaziabile (Ec 5:10) e, peggio ancora, rivaleggia con l’amore per Dio e finisce per prenderne il posto (Mt 6:24; vedi approfondimento a Lu 16:9). Perciò l’amore del denaro è la radice, o la causa, “di ogni tipo di male”, e provoca i “dolori” di cui Paolo parla subito dopo in questo versetto.

si sono procurati molti dolori O “si sono feriti dappertutto con molti dolori”. In questa espressione Paolo usa un verbo greco che trasmette l’idea di trafiggere passando da parte a parte, come quando si sferrano ripetuti colpi usando una lama affilata. Quello che vuole mettere in risalto è che i cristiani si fanno molto male se lasciano che l’amore del denaro diventi la forza motivante della loro vita, il che si tradurrebbe in “molti dolori”.

molti dolori Qui il termine greco per “dolore” può riferirsi a una grande pena o sofferenza emotiva, mentale e spirituale, forse causata da rimorsi di coscienza. Di sicuro fu l’amore del denaro a causare “molti dolori” a Giuda Iscariota. Questo amore lo dominò, al punto che Giuda compì azioni estreme come rubare e perfino tradire Gesù Cristo (Mt 26:14-16; Gv 12:6). Da fedele apostolo finì per diventare “il figlio della distruzione”. (Vedi approfondimento a Gv 17:12.)

l’uomo di Dio Il termine greco qui reso “uomo” (ànthropos) può riferirsi sia a uomini che a donne. Anche se qui si rivolge a Timoteo, che era un sorvegliante, Paolo potrebbe averlo usato pensando a qualunque cristiano, uomo o donna che sia, che è completamente dedicato a Geova Dio. Per questo motivo alcune traduzioni presentano la resa “la persona che appartiene a Dio” oppure “la persona dedicata a Dio”. Come indica il versetto precedente, “l’uomo di Dio” deve studiare regolarmente le Scritture ispirate e vivere in armonia con esse. (Vedi approfondimento a 1Tm 6:11.)

Fuggite l’immoralità sessuale! Il verbo greco originale (fèugo) significa “fuggire”, “scappare via”, “evitare”. Paolo lo usa in senso metaforico per ricordare ai cristiani di Corinto di evitare l’immoralità sessuale. Secondo alcuni, Paolo allude all’episodio in cui Giuseppe fuggì letteralmente e in modo risoluto dalla moglie di Potifar. È interessante che in Gen 39:12-18, laddove in italiano si trova il verbo “scappare”, la Settanta abbia lo stesso verbo greco usato qui da Paolo. Nell’originale di 1Co 6:18 il verbo è all’imperativo presente, tempo verbale che in greco suggerisce un’azione continua e ripetuta.

la corazza della giustizia I soldati romani del I secolo usavano vari tipi di corazza. Una di queste era composta da lamine di ferro sovrapposte e fissate a strisce di cuoio tramite ganci, lacci e fibbie. La corazza proteggeva gli organi vitali, in particolare il cuore. Non a caso Polibio, storico greco del II secolo a.E.V., parlando della corazza utilizzò un termine che alla lettera significa “difesa del cuore”. Paolo sapeva che i cristiani hanno bisogno di proteggere il loro cuore simbolico. (Confronta 1Ts 5:8.) Come la corazza impediva a frecce e spade di raggiungere il cuore del soldato, così l’amore per i giusti princìpi e le giuste norme di Dio protegge il cuore simbolico del cristiano (Sl 119:97, 105; Pr 4:23). Per colpa delle loro inclinazioni peccaminose, gli esseri umani imperfetti hanno sempre un grande bisogno di questa protezione (Ger 17:9). Nelle Scritture Ebraiche, anche di Geova viene detto metaforicamente che indossa la giustizia come fosse una corazza (Isa 59:15, 17).

devozione a Dio Il termine greco eusèbeia trasmette l’idea di profonda riverenza e rispetto che un cristiano esprime a Dio servendolo lealmente e ubbidendogli in modo completo. Ha un significato ampio, infatti fa anche pensare a quell’amore leale o a quell’attaccamento verso Dio che spinge una persona a cercare di fare ciò che piace a lui. Un lessico riassume così il significato generale di questo termine: “vivere come Dio vuole che viviamo”. Paolo fa anche capire che la devozione a Dio non è una caratteristica innata. È per questo motivo che esorta Timoteo a darsi da fare per rafforzare questa qualità, esercitandosi, o allenandosi, come fa un atleta. Poco prima nella lettera, Paolo gli ha ricordato che Gesù Cristo ha lasciato l’esempio più incisivo di devozione a Dio. (Vedi approfondimento a 1Tm 3:16.)

devozione a Dio O “santa devozione”. Il termine greco usato qui, eusèbeia, fa riferimento a un senso di riverenza e di profondo rispetto nei confronti di Dio; per questo motivo la parola “Dio”, anche se non compare nel termine originale, è stata esplicitata. (Per una trattazione del termine greco reso “devozione a Dio”, vedi approfondimento a 1Tm 4:7.) Questo stesso termine a volte viene usato anche nella Settanta. Per esempio compare in Isa 11:2 e 33:6, dove il testo ebraico usa l’espressione “timore di Geova”, che si riferisce ugualmente a profondo rispetto per Geova Dio. Quando nel V secolo fu realizzata la Pescitta, traduzione della Bibbia in siriaco, in 1Tm 2:2 il termine greco eusèbeia fu reso “riverenza verso Dio”, con l’esplicitazione della parola “Dio”. Sulla stessa falsariga, alcune successive traduzioni in ebraico delle Scritture Greche Cristiane hanno reso eusèbeia con “timore di Geova” sia in questo versetto sia in altri dove compare il termine (1Tm 3:16; 4:7, 8; 6:3, 6, 11). Comunque, il Comitato di Traduzione della Bibbia del Nuovo Mondo ha ritenuto che non ci fossero sufficienti ragioni a sostegno del ripristino del nome divino nel testo principale di questo versetto. (Per altre ragioni prese in considerazione nel valutare se ripristinare il nome divino in altri versetti, vedi App. C; confronta approfondimento a Ro 10:12.)

uomo di Dio Nel definire Timoteo “uomo di Dio”, Paolo usa un’espressione che compare solo due volte nelle Scritture Greche Cristiane, qui e in 2Tm 3:17. Nelle Scritture Ebraiche, invece, l’espressione “uomo di Dio” (o “uomo del vero Dio”) compare circa 70 volte. Ricorre in riferimento a profeti di Dio e altri suoi speciali rappresentanti, come Mosè (De 33:1), Samuele (1Sa 9:6, 10), Davide (Ne 12:24), Elia (1Re 17:18, 24) ed Eliseo (2Re 4:7, 9). Paolo potrebbe aver utilizzato questa espressione per ricordare a Timoteo che l’incarico di contrastare i falsi maestri presenti nella congregazione di Efeso gli era stato affidato da Dio (1Tm 1:3, 4; 6:2b-10). Oppure potrebbe averla usata nel suo senso più generico di persona, uomo o donna che sia, che è completamente dedicata a Geova e che si lascia guidare dalla Sua Parola ispirata nella vita e nelle azioni. (Vedi approfondimento a 2Tm 3:17.)

Persegui Il verbo originale significa “inseguire”, “correre dietro”. In senso figurato include l’idea di sforzarsi per raggiungere o conseguire un obiettivo. Pur avendo già le qualità di cui parla Paolo, Timoteo doveva continuare a coltivarle e a raffinarle, cosa che avrebbe dovuto fare per tutta la vita. Dicendo anche rifuggi queste cose, Paolo esorta Timoteo a scappare via da ciò che è male, per esempio dalle trappole legate al materialismo (1Tm 6:9, 10). È chiaro che Paolo considera il materialismo un pericolo e le qualità divine un beneficio. Per questo consiglia a Timoteo di rifuggire l’uno e di perseguire le altre (Mt 6:24; 1Co 6:18 e approfondimento; 10:14; 2Tm 2:22).

Persegui [...] giustizia La prima delle qualità che Paolo esorta Timoteo a perseguire è la giustizia. (Vedi anche 2Tm 2:22.) Timoteo era già un cristiano dedicato e unto, e in quanto tale era stato dichiarato giusto (Ro 5:1). Doveva comunque continuare a impegnarsi per rimanere giusto, facendo tutto il possibile per seguire le norme di Dio riguardo a ciò che è bene e ciò che è male. (Vedi Glossario, “giustizia, giusto”; vedi anche approfondimento a Ef 6:14.)

devozione a Dio Per una trattazione dell’espressione “devozione a Dio”, vedi approfondimento a 1Tm 4:7; vedi anche approfondimento a 1Tm 2:2.

la vera vita Paolo esprime un concetto simile a quello del v. 12, dove ha esortato Timoteo con le parole: “Afferra saldamente la vita eterna a cui sei stato chiamato”. Quindi, “la vera vita” menzionata qui nel v. 19 e “la vita eterna” del v. 12 si riferiscono a quanto pare alla stessa cosa. (Vedi approfondimento a Gv 14:6.) Sia Paolo che Timoteo avevano capito che Geova, la Fonte della vita, in origine si era proposto che gli esseri umani vivessero per sempre sulla terra una vita caratterizzata da pace e soddisfazione (Gen 1:28; 2:15-17). In confronto, una vita breve caratterizzata da problemi, malattie e lutti è futile e frustrante (Gb 14:1, 2; Sl 103:15, 16; Ec 1:2). Tutto ciò rende incerti tanto la vita quanto i possedimenti materiali. Paolo desiderava che tutti i cristiani in vita “nell’attuale sistema di cose” considerassero preziosa la possibilità di ottenere “la vera vita”, una vita eterna piena di gioia e pace (1Tm 6:17).

l’eccellente combattimento Paolo paragona la sua vita e il suo ministero quale cristiano a un nobile combattimento, una lotta. (Vedi approfondimenti a 1Co 9:25; 1Tm 6:12.) Aveva servito Geova fedelmente nonostante numerose difficoltà; aveva coperto lunghe distanze per mare e per terra nei suoi viaggi missionari; aveva affrontato ogni tipo di persecuzione, come aggressioni da parte di folle inferocite, fustigazioni e prigionie; aveva fronteggiato anche l’opposizione di “falsi fratelli” (2Co 11:23-28). In tutto quello che aveva subìto, Geova e Gesù gli avevano dato la forza di cui aveva bisogno per rimanere fedele e portare a termine il suo ministero (Flp 4:13; 2Tm 4:17).

Ho combattuto [...], ho corso [...], ho osservato Usando questi tre verbi diversi, Paolo enfatizza lo stesso concetto: ha fedelmente portato a termine la corsa della sua vita cristiana e il ministero, compiendo tutto ciò che il Signore Gesù gli aveva affidato (At 20:24). Anche se la vita di Paolo stava per finire, la sua opera avrebbe continuato a portare frutto.

chiunque partecipa a una gara O “ogni atleta”. Qui in greco compare un verbo che è affine a un sostantivo spesso utilizzato per indicare le gare di atletica. Questo sostantivo è usato in senso figurato in Eb 12:1 con riferimento alla “corsa” cristiana per la vita. È anche usato con il significato più generico di “lotta” (Flp 1:30; Col 2:1) o di “combattimento” (1Tm 6:12; 2Tm 4:7). Lo stesso verbo greco presente qui in 1Co 9:25 è stato reso “fare ogni sforzo”, “lottare”, “prodigarsi”, “sforzarsi” e “combattere” (Lu 13:24; Col 1:29; 4:12; 1Tm 4:10; 6:12). (Vedi approfondimento a Lu 13:24.)

Fate ogni sforzo O “continuate a lottare”, “sforzatevi con vigore”. L’esortazione di Gesù sottolinea il bisogno di impegnarsi con tutto sé stessi per riuscire a entrare per la porta stretta. Vari commentari propongono per questo passo rese come “sforzatevi al massimo”. Il verbo greco agonìzomai è affine al sostantivo greco agòn, spesso utilizzato per indicare le competizioni atletiche. Questo termine è usato in senso figurato in Eb 12:1 con riferimento alla “corsa” cristiana per la vita. È anche usato con il significato più generico di “lotta” (Flp 1:30; Col 2:1) o di “combattimento” (1Tm 6:12; 2Tm 4:7). Lo stesso verbo greco presente in Lu 13:24 è stato reso “partecipare a una gara”, “lottare”, “prodigarsi”, “sforzarsi” e “combattere” (1Co 9:25; Col 1:29; 4:12; 1Tm 4:10; 6:12). Dato che questa espressione appartiene al lessico della competizione nei giochi atletici, alcuni hanno suggerito che lo sforzo che Gesù incoraggiò a fare potrebbe essere paragonato a quello di un atleta che impiega al massimo tutte le sue forze per vincere il premio.

Combatti l’eccellente combattimento della fede In greco il verbo reso “combatti” e il sostantivo affine reso “combattimento” erano usati in riferimento all’impegno profuso dagli atleti per vincere una competizione atletica. (Vedi approfondimenti a Lu 13:24; 1Co 9:25.) Paolo qui mette in risalto che i cristiani devono combattere per la fede in Geova Dio, difendendo la verità cristiana rivelata nella Bibbia. Questo combattimento è veramente “eccellente”, o nobile. (Vedi approfondimenti a 2Tm 4:7.)

la vita eterna Vedi approfondimento a 1Tm 6:19.

come testimone [...] davanti a Ponzio Pilato Stando al racconto dei Vangeli, Cristo Gesù fece una dichiarazione pubblica a Pilato rispondendogli direttamente (Mt 27:11; Gv 18:33-38), ma questa espressione potrebbe includere non solo quello che gli disse nella loro breve conversazione. (Vedi approfondimento a Ro 10:9.) È possibile che qui Paolo si riferisse alla perseveranza che Gesù “come testimone” mostrò durante tutto il processo che subì e fino alla morte. L’ottimo esempio di Gesù “come testimone” avrà sicuramente spinto Timoteo a svolgere fedelmente il suo incarico a Efeso.

dichiari pubblicamente In alcune Bibbie il verbo greco usato qui (homologèo) è reso “confessare”. Secondo molti lessici significa “dichiarare (riconoscere) apertamente”, “professare pubblicamente”. Nel v. 10 lo stesso verbo è tradotto “fare la dichiarazione pubblica”. Paolo spiega che non è sufficiente avere fede nel proprio cuore; per ottenere la salvezza, il cristiano deve fare una dichiarazione pubblica della propria fede (Sl 40:9, 10; 96:2, 3, 10; 150:6; Ro 15:9). Il cristiano non fa questa dichiarazione pubblica una sola volta, ad esempio al battesimo, ma ogni volta che si riunisce con i suoi compagni di fede e ogni volta che proclama ad altri la buona notizia della salvezza (Eb 10:23-25; 13:15).

mediante la manifestazione della sua presenza Qui Paolo non si riferisce all’intera presenza invisibile di Cristo, ma a un evento che avrà luogo verso la fine di quel periodo. A quel punto la presenza di Cristo sarà manifesta, chiaramente evidente a tutti (Lu 21:25-28; vedi Glossario, “presenza”). Le parole di Paolo dimostrano che “l’uomo dell’illegalità”, già all’opera nel I secolo, sarebbe stato ancora attivo durante la presenza di Cristo. Questo porta a concludere che l’“uomo” a cui Paolo si riferisce non è un singolo individuo ma un gruppo di persone. (Vedi approfondimento a 2Ts 2:3.) L’esecuzione del giudizio divino sull’“uomo dell’illegalità” renderà chiaro che Cristo sarà presente quale Re e che a quel punto la “grande tribolazione” da lui predetta sarà iniziata (Mt 24:21; vedi Glossario, “grande tribolazione”).

manifestazione del nostro Signore Gesù Cristo Per come è usato nelle Scritture, il termine greco per “manifestazione” (epifàneia) fa riferimento all’evidenza tangibile di qualcosa o a una dimostrazione di autorità o potenza. Viene usato, ad esempio, a proposito del periodo vissuto da Gesù qui sulla terra (2Tm 1:10 e approfondimento), ma anche a proposito di vari eventi che hanno luogo durante la sua presenza regale. (Vedi ad esempio approfondimento a 2Ts 2:8.) In questo contesto, il termine “manifestazione” si riferisce a uno stabilito periodo di tempo futuro in cui la posizione ricoperta da Gesù in cielo, in tutta la sua gloria e potenza, sarà chiaramente riconoscibile (Da 2:44; 7:13, 14; 1Tm 6:15; 2Tm 4:1).

la manifestazione del nostro Salvatore, Cristo Gesù Paolo spiega che l’“immeritata bontà” di Dio di cui si parla nel v. 9 “[era] stata resa evidente tramite la manifestazione [di] Cristo Gesù”. La manifestazione a cui ci si riferisce qui è avvenuta quando Geova mandò suo Figlio sulla terra come essere umano. Se ne parla anche in Gv 1:14, dove è scritto: “La Parola è diventata carne e ha vissuto fra noi [uomini]”. In modo simile, anche 1Tm 3:16 (vedi approfondimento) menziona che Gesù “fu reso manifesto nella carne”. L’espressione fa riferimento alla sua vita e al suo ministero terreni, a quanto pare dal momento in cui fu battezzato nel Giordano. Durante il suo ministero Gesù insegnò chiaramente come gli esseri umani potevano essere salvati dai loro peccati e ottenere la vita eterna (Mt 1:21; Lu 2:11; 3:6).

il felice e unico Governante Il contesto e le parole usate da Paolo suggeriscono fortemente che qui ci si riferisce a Gesù Cristo. Nel v. 14 Paolo ha appena menzionato la “manifestazione del nostro Signore Gesù Cristo”. Qui fa un contrasto tra Gesù e i governanti umani imperfetti. Il termine greco reso “Governante” (dynàstes) può indicare un re ma anche un governante subordinato all’autorità di un re, per esempio un principe. Descrive quindi appropriatamente Gesù, che regna in qualità di Re sotto l’autorità del Padre, Geova. Gesù è l’unico che, in armonia con Da 7:14, ha ricevuto direttamente da Dio “dominio, onore e un regno”. Dal momento che la sua autorità è unica, nel senso che non ha pari, Gesù può giustamente essere definito l’“unico Governante”. È superiore a qualunque re o signore terreno, inclusi i re che regnarono nel nome di Geova nell’antica Gerusalemme. Pertanto è Re e Signore al di sopra di tutti loro. (Confronta Ri 17:14; 19:16.)

felice In qualità di Governante, Gesù è “felice”, o benedetto, al massimo grado perché gode della benedizione e del favore di Geova Dio (Flp 2:9-11). Inoltre, essendo “l’immagine dell’Iddio invisibile”, riflette alla perfezione la gioia del Padre, il “felice Dio” (Col 1:15; 1Tm 1:11 e approfondimento; confronta Pr 8:30, 31).

felice Dio Qui Paolo indica che la felicità è una caratteristica peculiare della personalità di Geova. Dio è sempre esistito e continuerà a esistere per tutta l’eternità; è sempre stato felice, anche quando era da solo (Mal 3:6). Il legame con il suo Figlio primogenito gli fece provare ancora più felicità (Pr 8:30). Anche se la ribellione e la calunnia di Satana gli hanno procurato dolore e sofferenza, Geova continua a essere felice e si rallegra della fedeltà dei suoi servitori leali (Pr 27:11). Quando incontrò gli anziani di Efeso, Paolo citò le parole di Gesù: “C’è più felicità nel dare che nel ricevere” (At 20:35 e approfondimento). Da queste parole si evince una ragione per cui Geova è il “felice Dio”: nessuno nell’universo è più generoso di lui (Sl 145:16; Isa 42:5). Se lo imitano, anche i suoi servitori possono essere felici (Ef 5:1). In Sl 1:1, 2, chi legge quotidianamente la sua legge è definito “felice”. Nella Settanta, in questo passo, compare lo stesso termine greco usato qui da Paolo. Nel Discorso della Montagna più volte Gesù indica che i suoi discepoli possono essere felici, anche se affrontano difficoltà e persecuzione (Mt 5:3-11; vedi approfondimenti a Mt 5:3; Ro 4:7).

Amen O “così sia”, “di sicuro”. Il greco amèn è la traslitterazione di un termine ebraico che deriva da ʼamàn, radice ebraica che vuol dire “essere fedele”, “essere degno di fiducia”. (Vedi Glossario.) Si usava dire “amen” per indicare che si era d’accordo con un giuramento, una preghiera o una dichiarazione. Gli scrittori delle Scritture Greche Cristiane spesso usavano questo termine per confermare un’espressione di lode a Dio appena pronunciata, come fa in questo caso Paolo (Ro 16:27; Ef 3:21; 1Pt 4:11). In altri casi, quando lo scrittore esprimeva il desiderio che Dio mostrasse favore ai destinatari della lettera, ricorreva a questo termine per sottolineare quanto detto (Ro 15:33; Eb 13:20, 21). Lo si usava anche per avvalorare con enfasi una dichiarazione appena fatta (Ri 1:7; 22:20).

il felice e unico Governante Il contesto e le parole usate da Paolo suggeriscono fortemente che qui ci si riferisce a Gesù Cristo. Nel v. 14 Paolo ha appena menzionato la “manifestazione del nostro Signore Gesù Cristo”. Qui fa un contrasto tra Gesù e i governanti umani imperfetti. Il termine greco reso “Governante” (dynàstes) può indicare un re ma anche un governante subordinato all’autorità di un re, per esempio un principe. Descrive quindi appropriatamente Gesù, che regna in qualità di Re sotto l’autorità del Padre, Geova. Gesù è l’unico che, in armonia con Da 7:14, ha ricevuto direttamente da Dio “dominio, onore e un regno”. Dal momento che la sua autorità è unica, nel senso che non ha pari, Gesù può giustamente essere definito l’“unico Governante”. È superiore a qualunque re o signore terreno, inclusi i re che regnarono nel nome di Geova nell’antica Gerusalemme. Pertanto è Re e Signore al di sopra di tutti loro. (Confronta Ri 17:14; 19:16.)

immortalità Il termine greco reso “immortalità” (athanasìa) ricorre tre volte nelle Scritture Greche Cristiane: in 1Co 15:53, 54 e 1Tm 6:16. Si riferisce alla qualità della vita che gli unti ricevono, una vita senza fine e indistruttibile. Infatti gli unti discepoli di Cristo, che quali esseri umani mortali servono Dio fedelmente, vengono risuscitati non come le altre creature spirituali, che hanno la vita eterna, ma con qualcosa in più: Geova dà loro “una vita indistruttibile” (Eb 7:16). Questa è una straordinaria prova della fiducia che ripone in loro. (Confronta approfondimento a 1Co 15:42.)

l’unico che ha l’immortalità Paolo spiega ulteriormente il motivo per cui Gesù è diverso da qualunque altro governante, re o signore. (Vedi approfondimento a 1Tm 6:15.) Geova ha risuscitato suo Figlio alla vita immortale come spirito (Ro 6:9; 1Pt 3:18). Nessun re o signore prima di lui aveva mai ricevuto un dono simile. È in questo senso perciò che Gesù è unico, superiore a tutti i governanti umani imperfetti. (Vedi approfondimento a 1Co 15:53.)

che risiede in una luce inaccessibile Dopo essere asceso al cielo, Gesù “si è seduto alla destra di Dio” (Eb 10:12). Risiede con la Fonte della luce e della vita (Sl 36:9), e la gloria che lo riveste è così grande da essere “inaccessibile” e non visibile agli esseri umani, fatti di carne e ossa. Gesù disse ai suoi discepoli che lo avrebbero visto di nuovo, ma questo sarebbe successo solo dopo la loro risurrezione in cielo quali creature spirituali. Allora lo avrebbero visto in tutta la gloria conferitagli da Dio (Gv 13:36; 14:19; 17:24).

Amen Vedi approfondimento a Ro 1:25.

sistema di cose Il termine greco qui presente (aiòn) significa fondamentalmente “(periodo di) tempo”, “epoca”. Può riferirsi allo stato delle cose o alle caratteristiche che contraddistinguono un certo periodo di tempo, un’epoca o un’era (2Tm 4:10; vedi Glossario). Quello che Paolo qui definisce “attuale sistema di cose malvagio” ebbe evidentemente inizio qualche tempo dopo il diluvio, quando fra gli esseri umani cominciò ad affermarsi un modo di vivere ingiusto, caratterizzato dal peccato e dalla ribellione a Dio e alla sua volontà. I primi cristiani vivevano in quel predominante “sistema di cose malvagio” ma non ne facevano parte. Grazie al sacrificio di riscatto di Gesù Cristo, infatti, ne erano stati liberati. (Vedi approfondimento a 2Co 4:4.)

sistema di cose futuro O “era futura”, “epoca futura”. Il termine greco qui presente (aiòn) significa fondamentalmente “(periodo di) tempo”, “epoca”. Può riferirsi allo stato delle cose o alle caratteristiche che contraddistinguono un certo periodo di tempo, un’epoca o un’era. Qui Gesù ha in mente la futura era sotto il Regno di Dio, quando si potrà godere della vita eterna (Lu 18:29, 30; vedi Glossario, “sistema/i di cose”).

sistema di cose Il termine greco qui presente (aiòn) significa fondamentalmente “(periodo di) tempo”, “epoca”. Può riferirsi allo stato delle cose o alle caratteristiche che contraddistinguono un certo periodo di tempo, un’epoca o un’era. In questo versetto è messo in relazione con le preoccupazioni e i problemi legati alla vita nel sistema attuale. (Vedi Glossario.)

il dio di questo sistema di cose “Il dio” in questione è Satana, com’è chiaramente indicato dal versetto stesso, dove si legge che “ha accecato la mente” dei “non credenti”. Gesù chiamò Satana “il governante di questo mondo” e disse che sarebbe stato “scacciato” (Gv 12:31). La dichiarazione di Gesù e il fatto che Satana venga chiamato “il dio di questo sistema di cose [o “di questa era”, “di questa epoca”]” indicano che la sua autorità è solo temporanea. (Confronta Ri 12:12.)

questo sistema di cose Il termine greco aiòn qui presente significa fondamentalmente “(periodo di) tempo”, “epoca”. Può riferirsi allo stato delle cose o alle caratteristiche che contraddistinguono un certo periodo di tempo, un’epoca o un’era. (Vedi Glossario, “sistema/i di cose”.) Dal momento che “questo sistema di cose” è in suo dominio, Satana lo ha modellato a suo piacimento conferendogli certe caratteristiche e uno spirito distintivo (Ef 2:1, 2).

direttiva O “mandato”, “ordine”, “comando”. Il sostantivo greco, come spiega un lessico, trasmette l’idea di “qualcosa che deve essere fatto”. Paolo si sta riferendo a quello che poco prima ha detto a Timoteo, e cioè di “[comandare] a certi individui” nella congregazione “di non insegnare dottrine diverse e di non prestare attenzione a false storie” (1Tm 1:3, 4). Il termine originale e altri affini ricorrono diverse volte in questa lettera (1Tm 1:18; 4:11; 5:7; 6:13, 17).

quelli che sono ricchi nell’attuale sistema di cose Dal momento che Satana controlla l’attuale sistema di cose ingiusto, le persone spesso subiscono pressioni affinché diano la priorità alle cose materiali. È per questo motivo che Paolo mette in guardia i cristiani che sono ricchi (Ro 12:2; 2Co 4:4). Gesù insegnò che un futuro sistema di cose governato dal Regno di Dio avrebbe preso il posto di quello attuale (Mr 10:30 e approfondimento; Lu 18:29, 30). Anche Paolo parlò di un sistema di cose “futuro” (Ef 1:21; 2:7), ed è su questo che esorta i cristiani a concentrarsi, “così si metteranno da parte un tesoro sicuro, un eccellente fondamento per il futuro” (1Tm 6:19).

attuale sistema di cose O “attuale era”, “attuale epoca”. Qui Paolo si riferisce al sistema di cose ingiusto di cui Satana è il governante. (Vedi approfondimenti a Mt 13:22; 2Co 4:4; Gal 1:4.)

ordina O “comanda”. (Vedi approfondimento a 1Tm 1:5.)

essere arroganti Il verbo greco usato qui può anche essere reso “essere superbo”, “essere altezzoso”. Paolo esorta i cristiani benestanti a mantenere un punto di vista equilibrato sulle ricchezze. Chi è ricco potrebbe sentirsi superiore agli altri a motivo di quello che possiede. Agli occhi di Geova, però, i beni materiali non rendono una persona migliore di un’altra (Pr 22:2; Mt 8:20; Gc 2:5).

riporre la loro speranza non nelle ricchezze incerte Chi è abbiente potrebbe pensare che i beni che possiede gli garantiscano vera sicurezza. Paolo, però, indica che in realtà le ricchezze sono inaffidabili e incerte: possono rivelarsi una tentazione e una trappola (1Tm 6:9), e possono sparire improvvisamente e inaspettatamente (Pr 18:11; 23:4, 5).

ci provvede in abbondanza tutte le cose di cui godiamo Nel testo greco di questo versetto e del successivo Paolo ricorre a un gioco di parole. Inizia dicendo che “quelli che sono ricchi” devono riporre la loro speranza non nelle “ricchezze incerte” ma in Dio. Poi ricorda ai cristiani che Dio è la Fonte di tutte le cose buone e che le provvede “in abbondanza”, alla lettera “riccamente”, per la loro soddisfazione. Ovviamente, è soprattutto quello che Geova provvede in senso spirituale che li fa sentire veramente felici, soddisfatti e al sicuro (Mt 6:19-21, 33). Infine Paolo conclude esortando i cristiani a “essere ricchi di opere eccellenti”, così che possano “afferrare saldamente la vera vita” (1Tm 6:18, 19).

Io sono la via e la verità e la vita Gesù è la via perché è l’unico attraverso il quale è possibile avvicinarsi a Dio in preghiera. È anche “la via” tramite la quale gli esseri umani possono riconciliarsi con Dio (Gv 16:23; Ro 5:8). Gesù è la verità perché parlò e visse in armonia con la verità. Inoltre adempì decine di profezie che permettono di comprendere il suo ruolo fondamentale nell’adempimento del proposito di Dio (Gv 1:14; Ri 19:10). Queste profezie “sono state ‘sì’ [o “si sono adempiute”] mediante lui” (2Co 1:20). Gesù è la vita perché, tramite il riscatto, ha dato agli esseri umani la possibilità di ottenere “la vera vita”, cioè “la vita eterna” (1Tm 6:12, 19; Ef 1:7; 1Gv 1:7). E in futuro dimostrerà di essere “la vita” per i milioni di morti che verranno risuscitati e avranno la prospettiva di vivere per sempre nel Paradiso (Gv 5:28, 29).

la vera vita Paolo esprime un concetto simile a quello del v. 12, dove ha esortato Timoteo con le parole: “Afferra saldamente la vita eterna a cui sei stato chiamato”. Quindi, “la vera vita” menzionata qui nel v. 19 e “la vita eterna” del v. 12 si riferiscono a quanto pare alla stessa cosa. (Vedi approfondimento a Gv 14:6.) Sia Paolo che Timoteo avevano capito che Geova, la Fonte della vita, in origine si era proposto che gli esseri umani vivessero per sempre sulla terra una vita caratterizzata da pace e soddisfazione (Gen 1:28; 2:15-17). In confronto, una vita breve caratterizzata da problemi, malattie e lutti è futile e frustrante (Gb 14:1, 2; Sl 103:15, 16; Ec 1:2). Tutto ciò rende incerti tanto la vita quanto i possedimenti materiali. Paolo desiderava che tutti i cristiani in vita “nell’attuale sistema di cose” considerassero preziosa la possibilità di ottenere “la vera vita”, una vita eterna piena di gioia e pace (1Tm 6:17).

ai giudei furono affidate In De 29:29 Mosè scrisse: “Le cose rivelate appartengono a noi [israeliti] e ai nostri discendenti per sempre”. In Sl 147:19, 20 viene detto che Dio “annuncia la sua parola [...] a Israele”, cosa che non aveva fatto nei confronti di “nessuna delle altre nazioni”. Per spiegare che ai giudei erano state affidate la parola della salvezza di Dio e la pura adorazione, Gesù disse: “La salvezza ha origine dai giudei” (Gv 4:22; vedi approfondimento). Paolo qui conferma che Geova aveva affidato ai giudei il compito di mettere per iscritto la parte ebraico-aramaica delle Scritture ispirate. Ed erano giudei anche i discepoli di Gesù che redassero i libri delle Scritture Greche Cristiane. I giudei erano quindi custodi della conoscenza scritturale, e a loro fu affidata la stesura di tutti i libri del canone biblico. (Vedi approfondimenti a Lu titolo; 24:44 e Glossario, “giudeo”.)

false storie Le “false storie” (espressione che qui traduce il termine greco mỳthos) che circolavano ai giorni di Paolo erano irriverenti, o profane. Violavano le sacre norme di Dio ed erano contrarie ai santi e sani insegnamenti della verità (1Tm 6:20; 2Tm 1:13). Queste false storie erano frutto dell’immaginazione e non si basavano sulla realtà dei fatti, quindi erano prive di valore. (Vedi approfondimento a 1Tm 1:4.)

la Parola è diventata carne Dalla nascita alla morte, Gesù fu in tutto e per tutto un uomo. Gesù spiegò il motivo per cui era diventato carne quando disse: “Il pane che darò è la mia carne, che offrirò per la vita del mondo” (Gv 6:51). Inoltre, solo perché era interamente umano poté provare ciò che provano gli uomini fatti di carne e sangue e diventare così un Sommo Sacerdote compassionevole (Eb 4:15). Gesù non poteva essere umano e allo stesso tempo divino; le Scritture dicono che fu “fatto di poco inferiore agli angeli” (Eb 2:9; Sl 8:4, 5; vedi l’approfondimento carne in questo versetto). Non tutti, comunque, concordavano sul fatto che Gesù fosse venuto nella carne. Per esempio gli gnostici, che erano convinti che si potesse pervenire alla conoscenza (in greco gnòsis) per vie mistiche, avevano fuso la filosofia greca e il misticismo orientale a insegnamenti cristiani apostati. Concepivano tutta la materia come male, e per questo motivo insegnavano che Gesù non era venuto nella carne ma aveva solo dato l’impressione di avere un corpo umano. A quanto pare una prima forma di gnosticismo era assai diffusa alla fine del I secolo; forse fu per questo che Giovanni scrisse specificamente: “La Parola è diventata carne”. Nelle sue lettere Giovanni mise in guardia dal falso insegnamento secondo cui Gesù non era venuto “nella carne” (1Gv 4:2, 3; 2Gv 7).

quello che ti è stato affidato Lett. “il deposito”. In questa espressione Paolo include le verità scritturali che erano state affidate a Timoteo (1Ts 2:4; 2Tm 1:14; confronta Ro 3:2 e approfondimento). A volte il termine originale veniva usato per indicare oggetti di valore depositati in banca. Poteva indicare anche beni affidati alle cure di qualcuno, ed è questo il senso con cui compare nella Settanta (Le 6:2, 4 [5:21, 23, LXX]). Dicendo a Timoteo custodisci il sacro messaggio, Paolo non intendeva dire che dovesse rinchiuderlo da qualche parte per tenerlo al sicuro, ma trasmetterlo ad altri con scrupolosità e accuratezza mentre insegnava (2Tm 2:2). Timoteo avrebbe così contribuito a proteggere, o custodire appunto, quelle preziose verità dal rischio di essere modificate o contaminate da coloro che promuovevano “discorsi vuoti” e dalla “falsamente chiamata ‘conoscenza’”.

discorsi vuoti Lett. “suoni vuoti”. Qui Paolo usa un termine greco che indica “conversazioni senza valore”. Alcune Bibbie lo traducono con “vaniloqui”, “chiacchiere”. Questi discorsi si basavano su speculazioni anziché sulle solide verità della Parola di Dio. Erano vuoti in quanto non contribuivano in alcun modo all’edificazione della fede (1Tm 1:6; 2Tm 4:4; Tit 3:9). Peggio ancora, queste chiacchiere futili spesso erano profane o irriverenti; ecco perché Paolo dice: violano ciò che è santo. Chi si impelagava in discorsi del genere sostituiva le verità della Parola di Dio con semplici pensieri umani. Paolo consiglia a Timoteo di non avere niente a che fare con simili discorsi (1Tm 4:7 e approfondimento; 2Tm 2:16).

quella che è falsamente chiamata “conoscenza” La “conoscenza” a cui si riferisce Paolo non merita in realtà di essere definita tale: è solo una pallida imitazione, e non trova alcun riscontro nella Parola di Dio. Contiene infatti contraddizioni, ovvero idee o ragionamenti contrastanti e, peggio ancora, argomentazioni che contraddicono gli scritti ispirati. In questa lettera Paolo ha più volte messo in guardia Timoteo dai discorsi divisivi e vuoti dei falsi maestri, che facevano sfoggio della loro conoscenza e cercavano di influenzare negativamente la congregazione (1Tm 1:4, 7; 4:1-3, 7; 6:3-6). Già da tempo circolavano opinioni errate su cosa fosse davvero la “conoscenza” (in greco gnòsis). Nel II secolo alcuni gruppi di cristiani apostati divennero noti perché si definivano gnostici; si consideravano infatti possessori della conoscenza. (Vedi approfondimento a Gv 1:14.)

immeritata bontà Vedi Glossario.

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