Lettera ai Galati 5:1-26

5  È per questa libertà che Cristo ci ha liberato; perciò rimanete saldi+ e non fatevi imporre di nuovo un giogo di schiavitù.+  Ecco, io, Paolo, vi dico: se vi fate circoncidere, Cristo non vi sarà di nessun beneficio.+  E a ogni uomo che si fa circoncidere ripeto che ha l’obbligo di osservare tutta la Legge.+  Voi che cercate di essere dichiarati giusti per mezzo della legge+ siete separati da Cristo; vi siete privati della sua immeritata bontà.  Noi invece per mezzo dello spirito aspettiamo ansiosamente la giustizia sperata,* che deriva dalla fede.  In Cristo Gesù, infatti, né la circoncisione né l’incirconcisione hanno alcun valore;+ conta la fede che opera attraverso l’amore.  Voi correvate bene.+ Chi vi ha ostacolato, impedendovi di continuare a ubbidire alla verità?  Questo genere di argomentazioni* non viene da colui che vi chiama.  Un po’ di lievito fa fermentare tutto l’impasto.+ 10  Sono fiducioso che voi che siete uniti al Signore+ non la penserete diversamente; ma chi vi turba,+ chiunque sia, riceverà il giudizio che merita. 11  Quanto a me, fratelli, se predico ancora la circoncisione, allora perché vengo ancora perseguitato? Se davvero fosse così, la pietra d’inciampo del palo di tortura+ sarebbe stata eliminata. 12  Si facessero evirare, questi che cercano di gettarvi in confusione! 13  Fratelli, siete stati chiamati alla libertà; solo non usate questa libertà come pretesto per soddisfare i desideri carnali.+ Al contrario, mediante l’amore siate schiavi gli uni degli altri.+ 14  L’intera Legge infatti trova il suo adempimento in un solo comando: “Devi amare il tuo prossimo come te stesso”.+ 15  Ma se continuate a mordervi e a sbranarvi a vicenda,+ state attenti a non annientarvi a vicenda.+ 16  Dunque vi dico: continuate a camminare secondo lo spirito+ e non seguirete nessun desiderio carnale.+ 17  La carne, infatti, a motivo dei suoi desideri è contro lo spirito, e lo spirito è contro la carne; queste cose sono in conflitto tra loro, così che voi non fate ciò che vorreste fare.+ 18  Inoltre, se siete guidati dallo spirito, non siete sotto la legge. 19  Ora le opere della carne sono evidenti, e sono immoralità sessuale,+ impurità, comportamento sfrontato,+ 20  idolatria, spiritismo,+ inimicizia, liti,+ gelosie,+ scoppi d’ira, rivalità, divisioni, sette,+ 21  invidia, ubriachezza,+ feste sfrenate e cose del genere.+ A questo riguardo vi avverto, come vi ho già avvertito, che chi pratica tali cose non erediterà il Regno di Dio.+ 22  Invece il frutto+ dello spirito è amore, gioia,+ pace,+ pazienza, benignità, bontà,+ fede, 23  mitezza, autocontrollo.+ Contro queste cose non c’è legge. 24  Inoltre quelli che appartengono a Cristo Gesù hanno messo al palo la carne con le sue passioni e i suoi desideri.+ 25  Se viviamo secondo lo spirito, dobbiamo anche continuare a camminare secondo lo spirito.+ 26  Non diventiamo presuntuosi,+ rivaleggiando+ e invidiandoci gli uni gli altri.

Note in calce

Lett. “speranza di giustizia”.
Lett. “persuasione”.

Approfondimenti

È per questa libertà che Cristo ci ha liberato Menzionando diverse volte in questa lettera la parola greca per “libertà” e il verbo affine, Paolo mette in evidenza “la libertà che abbiamo in Cristo Gesù” (Gal 2:4). La contrappone alla schiavitù di cui ha parlato nel capitolo precedente. L’espressione usata qui da Paolo potrebbe anche essere resa ‘con la libertà di lei, Cristo ci ha liberato’, a sottolineare che questa libertà si può ottenere solo essendo figli della “Gerusalemme di sopra”, ovvero la donna libera (Gal 4:26).

un giogo di schiavitù La Legge data alla nazione di Israele era giusta e santa (Ro 7:12). Quindi era impossibile che esseri umani imperfetti potessero osservarla alla perfezione. Chiunque fosse tornato a seguire la Legge dopo essere diventato cristiano si sarebbe fatto “imporre di nuovo un giogo di schiavitù”, perché la Legge lo avrebbe condannato in quanto peccatore e schiavo del peccato. Il sacrificio di riscatto di Cristo aveva reso possibile la libertà da quel “giogo” (At 15:10; Gal 5:1-6; vedi Glossario, “giogo”).

immeritata bontà Vedi Glossario.

Voi correvate bene Paolo qui si serve della metafora della corsa per dire che i fratelli della Galazia erano riusciti a conformarsi al modo di vivere cristiano. Nelle sue lettere usa diverse volte figure retoriche simili. (Confronta Gal 2:2; vedi approfondimento a 1Co 9:24.) Nella Bibbia ricorrono spesso il verbo “camminare” e “correre” con il senso di seguire una linea d’azione, un modo di agire (Gen 5:22; 6:9; Ef 4:17, nt.; 5:2).

in una corsa tutti corrono Le gare di atletica erano parte integrante della cultura greca; Paolo se ne serve in modo efficace per fare degli esempi (1Co 9:24-27; Flp 3:14; 2Tm 2:5; 4:7, 8; Eb 12:1, 2). I cristiani di Corinto conoscevano bene le gare di atletica dei Giochi Istmici. Questi giochi si tenevano ogni due anni vicino a Corinto ed erano secondi per importanza solo ai Giochi Olimpici, che si tenevano a Olimpia. È probabile che Paolo fosse a Corinto durante i Giochi Istmici del 51. A questi eventi i corridori gareggiavano su diverse distanze. Nei suoi esempi Paolo fa riferimento a corridori e pugili per insegnare il valore della disciplina e della perseveranza, nonché l’importanza di fare sforzi mirati (1Co 9:26).

lievito Questo termine si riferisce a ciò che viene aggiunto a un impasto per farlo fermentare; di solito nei tempi biblici si trattava di lievito madre, una porzione di impasto precedentemente lievitato (Eso 12:20). Nella Bibbia è spesso usato come simbolo di peccato e corruzione. (Vedi approfondimento a Mt 16:6.)

lievito Vedi Glossario e approfondimento a 1Co 5:6.

fa fermentare O “si diffonde in”, “ha un effetto su”. Il verbo greco qui usato è zymòo (“lievitare”); è affine al sostantivo zỳme, che compare sempre in questo versetto ed è reso “lievito”. In 1Co 5:6 Paolo usa la stessa frase (“un po’ di lievito fa fermentare tutto l’impasto”), che molto probabilmente era un modo di dire. Con l’immagine di una piccola quantità di lievito che fa lievitare un impasto intero, Paolo vuole dire che i falsi insegnanti (nel caso specifico quelli che promuovevano la circoncisione) e le loro dottrine potevano corrompere la congregazione intera.

si rifiutavano di credere in lui O “inciampavano riguardo a lui”. In questo contesto il termine greco skandalìzo è usato in senso metaforico e ha il significato di “scandalizzarsi”, “offendersi”. In altri contesti questo termine potrebbe includere il cadere nel peccato o il far cadere nel peccato qualcun altro. (Vedi approfondimento a Mt 5:29.)

ostacoli che portano a peccare O “pietre d’inciampo”. Sembra che in origine il termine greco skàndalon, in questo versetto reso “ostacolo che porta a peccare” o semplicemente “ostacolo”, si riferisse a una trappola; alcuni sostengono che indicava il legnetto della trappola a cui si attaccava l’esca. Per estensione, ha finito per indicare un ostacolo che farebbe inciampare o cadere qualcuno. In senso figurato si riferisce a un’azione o una circostanza che induce una persona a scandalizzarsi, ad avere una condotta sbagliata, a cadere dal punto di vista morale o a peccare. In Mt 18:8, 9 il verbo affine (skandalìzo) è tradotto “portare a peccare” e potrebbe essere anche reso “diventare una trappola (laccio)”.

È per questa libertà che Cristo ci ha liberato Menzionando diverse volte in questa lettera la parola greca per “libertà” e il verbo affine, Paolo mette in evidenza “la libertà che abbiamo in Cristo Gesù” (Gal 2:4). La contrappone alla schiavitù di cui ha parlato nel capitolo precedente. L’espressione usata qui da Paolo potrebbe anche essere resa ‘con la libertà di lei, Cristo ci ha liberato’, a sottolineare che questa libertà si può ottenere solo essendo figli della “Gerusalemme di sopra”, ovvero la donna libera (Gal 4:26).

pietra d’inciampo per i giudei In base alla Legge chi veniva appeso al palo era “maledetto da Dio” (De 21:22, 23; Gal 3:13). Perciò per i giudei era vergognoso che Gesù avesse subìto una morte di quel genere: il Messia non poteva morire in quel modo. Questo quindi diventò per loro una “pietra d’inciampo”.

palo di tortura del Cristo Qui l’espressione “palo di tortura” (in greco stauròs) si riferisce alla morte di Gesù sul palo. Gesù morì in questo modo affinché l’umanità non fosse più schiava del peccato ma potesse stringere un’amicizia con Dio.

la pietra d’inciampo O “l’offesa”. (Vedi approfondimenti a Mt 13:57; 18:7.)

la pietra d’inciampo del palo di tortura La morte di Gesù sul palo di tortura fu ciò che permise di abolire la Legge. Paolo e gli altri cristiani predicavano che la fede nel sacrificio di Cristo era l’unico mezzo per ottenere la salvezza (Col 2:13, 14; vedi approfondimento a Gal 5:1). Il messaggio che portavano diventò una pietra d’inciampo, o un’offesa, per quegli ebrei che insistevano che la circoncisione e l’osservanza della Legge mosaica fossero indispensabili per avere l’approvazione di Dio. (Vedi approfondimento a 1Co 1:23.)

palo di tortura O “palo per l’esecuzione”. (Vedi approfondimento a 1Co 1:17.)

Si facessero evirare O “si facessero castrare”, “si facessero eunuchi”. (Vedi Glossario, “eunuco”.) Usando questo verbo, che letteralmente significa “tagliare via”, Paolo ricorre a un linguaggio molto forte, persino sarcastico. Ovviamente le sue parole non vanno intese alla lettera: si tratta di un’iperbole. Se i fautori della circoncisione si fossero davvero fatti castrare non sarebbero più stati in grado di rispettare quella stessa Legge che promuovevano (De 23:1). Alcuni commentatori, inoltre, ritengono che qui Paolo stesse alludendo alla castrazione compiuta durante alcuni riti pagani e che in tal caso stesse mettendo coloro che sostenevano la circoncisione sullo stesso piano di quegli idolatri.

È per questa libertà che Cristo ci ha liberato Menzionando diverse volte in questa lettera la parola greca per “libertà” e il verbo affine, Paolo mette in evidenza “la libertà che abbiamo in Cristo Gesù” (Gal 2:4). La contrappone alla schiavitù di cui ha parlato nel capitolo precedente. L’espressione usata qui da Paolo potrebbe anche essere resa ‘con la libertà di lei, Cristo ci ha liberato’, a sottolineare che questa libertà si può ottenere solo essendo figli della “Gerusalemme di sopra”, ovvero la donna libera (Gal 4:26).

trova il suo adempimento L’espressione greca originale, oltre che con “trova il suo adempimento”, potrebbe essere resa con “si esprime nella sua pienezza”. In entrambi i casi, il senso è che mostrando amore una persona adempie l’intera Legge, perché l’amore è alla base della Legge. In questo versetto Paolo cita il comando che si trova in Le 19:18. Cita lo stesso versetto anche in Ro 13:9, dove sottolinea che tutti i comandamenti della Legge “si riassumono in queste parole”, ovvero nel comando di amare il prossimo come sé stessi. Qui in Gal 5:14 alcune traduzioni bibliche rendono l’espressione con “si riassume”, che è un’altra possibile resa del verbo originale.

le opere della carne Nei versetti precedenti Paolo ha menzionato il costante conflitto tra “la carne” e “lo spirito” (Gal 5:13, 17). Ora, nei vv. 19-21, elenca 15 opere, o pratiche, correlate con “la carne”, cioè la natura peccaminosa dell’uomo. (Vedi approfondimenti a Mt 26:41; Gal 5:13, 17.) Queste opere sono il risultato di ciò che una persona pensa e fa quando è influenzata dalla carne peccaminosa (Ro 1:24, 28; 7:21-25). Paolo termina l’elenco con l’espressione “e cose del genere”, a indicare che il suo non va inteso come un elenco esaustivo di tutte le possibili opere della carne. (Vedi approfondimento a Gal 5:21.)

siete stati chiamati alla libertà Paolo ammonisce i cristiani che cedere ai desideri carnali, o peccaminosi, significa abusare della libertà che hanno in Cristo (Gal 2:4; 4:24-31). Coloro che invece apprezzano questa libertà la usano per fare gli schiavi gli uni degli altri, cioè per mettersi umilmente al loro servizio, mossi dall’amore. (Vedi approfondimenti a Gal 5:1, 14.)

pretesto per soddisfare i desideri carnali Lett. “un’occasione per la carne”. Il termine greco per “carne” (sàrx) ricorre diverse volte nei versetti che seguono (Gal 5:16-19). Qui si riferisce alla natura peccaminosa dell’essere umano. (Vedi approfondimento a Gal 5:19.)

mediante l’amore siate schiavi gli uni degli altri Paolo qui incoraggia i cristiani a non usare la loro vita per perseguire mete egoistiche, ma piuttosto per servire i compagni di fede con amore. Sembra infatti sottolineare che i cristiani debbano umilmente trattarsi con dignità e rispetto, come fa uno schiavo con il suo padrone. L’espressione “siate schiavi gli uni degli altri” potrebbe anche essere resa “mettetevi umilmente l’uno al servizio dell’altro”.

trova il suo adempimento L’espressione greca originale, oltre che con “trova il suo adempimento”, potrebbe essere resa con “si esprime nella sua pienezza”. In entrambi i casi, il senso è che mostrando amore una persona adempie l’intera Legge, perché l’amore è alla base della Legge. In questo versetto Paolo cita il comando che si trova in Le 19:18. Cita lo stesso versetto anche in Ro 13:9, dove sottolinea che tutti i comandamenti della Legge “si riassumono in queste parole”, ovvero nel comando di amare il prossimo come sé stessi. Qui in Gal 5:14 alcune traduzioni bibliche rendono l’espressione con “si riassume”, che è un’altra possibile resa del verbo originale.

continuate a camminare secondo lo spirito In questo contesto, una persona che cammina secondo lo spirito è una persona che cerca la guida dello spirito di Dio nella propria vita e lascia che influisca sui suoi pensieri e sulle sue azioni. Anche se potrebbe avere dei desideri peccaminosi, li allontana immediatamente, rifiutando di soffermarvisi. E in questo modo evita di praticare il peccato (Ro 8:4-6; Gc 1:14, 15). Paolo mette in contrasto questo atteggiamento con quello di chi si lascia dominare da un qualunque desiderio carnale inappropriato.

La carne [...] lo spirito In questo capitolo Paolo spesso descrive “la carne” e “lo spirito” come elementi in conflitto tra loro. Qui l’espressione “la carne” si riferisce alla natura peccaminosa dell’uomo, mentre l’espressione “lo spirito” allo spirito santo di Dio, anche se potrebbe includere quella forza che spinge ad agire chi è guidato dallo spirito santo. (Vedi Glossario, “spirito”.) Lo spirito di Dio è una forza che spinge i suoi servitori a fare ciò che è giusto, ma la carne peccaminosa ne contrasta costantemente l’influenza. In Gal 5:19-23 le opere della carne peccaminosa sono contrapposte al frutto dello spirito santo. (Confronta Ro 7:18-20.)

carne Nella Bibbia il termine è spesso usato in riferimento all’uomo nella sua condizione imperfetta e peccaminosa.

pretesto per soddisfare i desideri carnali Lett. “un’occasione per la carne”. Il termine greco per “carne” (sàrx) ricorre diverse volte nei versetti che seguono (Gal 5:16-19). Qui si riferisce alla natura peccaminosa dell’essere umano. (Vedi approfondimento a Gal 5:19.)

La carne [...] lo spirito In questo capitolo Paolo spesso descrive “la carne” e “lo spirito” come elementi in conflitto tra loro. Qui l’espressione “la carne” si riferisce alla natura peccaminosa dell’uomo, mentre l’espressione “lo spirito” allo spirito santo di Dio, anche se potrebbe includere quella forza che spinge ad agire chi è guidato dallo spirito santo. (Vedi Glossario, “spirito”.) Lo spirito di Dio è una forza che spinge i suoi servitori a fare ciò che è giusto, ma la carne peccaminosa ne contrasta costantemente l’influenza. In Gal 5:19-23 le opere della carne peccaminosa sono contrapposte al frutto dello spirito santo. (Confronta Ro 7:18-20.)

e cose del genere Questa espressione dimostra che Paolo non intende fornire un elenco esaustivo di tutto quello che può rientrare tra le opere della “carne”, cioè della natura umana peccaminosa. (Vedi approfondimento a Gal 5:19.) Fa qualcosa di simile in 1Tm 1:10. I cristiani della Galazia avrebbero dovuto usare le loro “facoltà di giudizio” per capire cos’altro potesse rientrare tra le pratiche peccaminose (Eb 5:14). Ad esempio, la calunnia non è menzionata in modo specifico tra le opere della carne, ma è frequente quando ci sono “inimicizia, liti, gelosie, scoppi d’ira, rivalità” (v. 20). Chi in modo impenitente adotta pratiche peccaminose — che siano espressamente elencate o che rientrino tra le “cose del genere” — non erediterà le benedizioni del Regno di Dio.

ogni sorta di impurità Il termine greco reso “impurità” (akatharsìa) ha un significato ampio. Qui è usato in senso metaforico per indicare qualsiasi specie di impurità, sia nella sfera sessuale sia nel parlare, nell’agire o nell’ambito spirituale. (Confronta 1Co 7:14; 2Co 6:17; 1Ts 2:3.) Dà risalto alla natura moralmente ripugnante di una condotta sbagliata o della condizione che ne consegue. (Vedi approfondimento a Gal 5:19.) Aggiungendo l’espressione con avidità — il termine greco reso “avidità” (pleonexìa) denota un insaziabile desiderio di avere di più — Paolo fa capire che nel termine “impurità” rientra una gamma di peccati più o meno gravi. (Vedi approfondimento a Ro 1:29.)

le opere della carne Nei versetti precedenti Paolo ha menzionato il costante conflitto tra “la carne” e “lo spirito” (Gal 5:13, 17). Ora, nei vv. 19-21, elenca 15 opere, o pratiche, correlate con “la carne”, cioè la natura peccaminosa dell’uomo. (Vedi approfondimenti a Mt 26:41; Gal 5:13, 17.) Queste opere sono il risultato di ciò che una persona pensa e fa quando è influenzata dalla carne peccaminosa (Ro 1:24, 28; 7:21-25). Paolo termina l’elenco con l’espressione “e cose del genere”, a indicare che il suo non va inteso come un elenco esaustivo di tutte le possibili opere della carne. (Vedi approfondimento a Gal 5:21.)

immoralità sessuale Per come è usato nella Bibbia, il greco pornèia è un termine generico riferito a qualsiasi atto sessuale che è illecito secondo le norme di Dio. Un lessico definisce pornèia “prostituzione, licenziosità, fornicazione”, e aggiunge che viene usato per indicare “ogni specie di rapporto sessuale illecito”. Tali atti illeciti includono non solo prostituzione, adulterio e rapporti sessuali tra persone non sposate ma anche atti omosessuali e bestialità, tutte cose condannate nelle Scritture (Le 18:6, 22, 23; 20:15, 16; 1Co 6:9; vedi Glossario). Menzionandola insieme ad assassinio, furto e bestemmia, Gesù fece capire che l’immoralità sessuale è un atto malvagio (Mt 15:19, 20; Mr 7:21-23).

impurità O “depravazione”, “impudicizia”, “sudiciume”. Tra i termini originali usati per le prime tre “opere della carne”, quello reso “impurità” (akatharsìa) è il più ampio. Compare 10 volte nelle Scritture Greche Cristiane. In senso letterale si riferisce a qualcosa che è fisicamente sporco (Mt 23:27). In senso metaforico include qualsiasi specie di impurità, sia nella sfera sessuale sia nel parlare, nell’agire o nell’ambito spirituale, come nel caso del culto di falsi dèi (Ro 1:24; 6:19; 2Co 6:17; 12:21; Ef 4:19; 5:3; Col 3:5; 1Ts 2:3; 4:7). “Impurità” può quindi riferirsi a diversi tipi di trasgressione, che possono essere più o meno gravi. (Vedi approfondimento a Ef 4:19.) Dà risalto alla natura moralmente ripugnante di una condotta sbagliata o della condizione che ne consegue. (Vedi Glossario, “impuro, impurità”.)

comportamento sfrontato O “comportamento spudorato”, “sfrenatezza”. Per come è usato nella Bibbia, il termine greco asèlgeia si riferisce a un comportamento che viola seriamente le leggi di Dio e che scaturisce da un atteggiamento insolente, irrispettoso e sfacciato. Compare 10 volte nelle Scritture Greche Cristiane (Mr 7:22; Ro 13:13; 2Co 12:21; Gal 5:19; Ef 4:19; 1Pt 4:3; 2Pt 2:2, 7, 18; Gda 4). Un lessico definisce asèlgeia “depravazione, licenziosità, dissolutezza, ovvero [l’essere] senza freni negli atteggiamenti e nei comportamenti morali”. Nelle sue Antichità giudaiche (VIII, 318 [xiii, 1]), Giuseppe Flavio usò questo termine per descrivere la pagana regina Izebel nell’occasione in cui eresse a Gerusalemme un santuario in onore di Baal. Quello fu un atto oltraggioso con cui sfacciatamente si fece beffe dell’opinione pubblica e della pubblica decenza. (Vedi Glossario.)

spiritismo O “stregoneria”, “occultismo”, “uso di droghe”. Il termine greco originale è farmakìa, che fondamentalmente significa “uso di farmaci”, “uso di droghe”. Forse finì per essere associato a spiritismo, occulto o magia perché nella stregoneria si faceva ricorso a certe sostanze quando si invocava il potere dei demòni. Nella Settanta compare farmakìa come traducente dei termini ebraici per “arti magiche”, “arti occulte” e “stregonerie” (Eso 7:11, 22; 8:7, 18; Isa 47:9, 12). Paolo lo usa in riferimento a pratiche occulte, come lascerebbe intendere il fatto che elenchi lo spiritismo subito dopo l’idolatria. (Vedi Glossario, “idolo, idolatria”.) In Ri 21:8 e 22:15 compare il sostantivo affine farmakòs, reso “quelli che praticano lo spiritismo”. (Vedi Glossario.)

gelosie Il termine greco zèlos descrive un sentimento intenso che può essere positivo o negativo. Dal momento che Paolo lo inserisce nell’elenco delle opere della carne, qui è usato in senso negativo: trasmette l’idea del sentimento che si prova nei confronti di un presunto rivale o di chi sembra godere di un vantaggio. I cristiani del I secolo ricevettero energici consigli contro questo tipo di gelosia (1Co 3:3; 2Co 12:20; Gc 3:14, 16; vedi approfondimento a 1Co 13:4).

scoppi d’ira Lett. “ire”. Il termine originale può includere non solo un’improvvisa esplosione d’ira incontrollata ma anche quella rabbia che viene covata nel cuore e a cui viene dato sfogo in seguito. L’ira è elencata insieme ad altre detestabili opere della carne, come immoralità sessuale, comportamento sfrontato, idolatria, spiritismo e ubriachezza.

sette Vedi approfondimento ad At 24:5.

L’amore non è geloso Il verbo greco zelòo descrive un sentimento intenso che può essere positivo o, come in questo caso, negativo. Qui, infatti, trasmette l’idea di uno stato d’animo negativo nei confronti di un presunto rivale o di chi sembra godere di un vantaggio. Il sostantivo affine zèlos, spesso reso “gelosia”, compare tra “le opere della carne” menzionate in Gal 5:19-21. Questa gelosia è egoistica e genera odio, non amore. Chi mostra amore cristiano non prova gelosia fuori luogo; nutre piuttosto fiducia e speranza, e agisce sempre nell’interesse degli altri (1Co 13:4-7; per una spiegazione della connotazione positiva del verbo greco, vedi approfondimento a 2Co 11:2).

setta Il sostantivo greco reso “setta” (hàiresis, da cui l’italiano “eresia”) probabilmente significava in origine “scelta”. Il termine è utilizzato in questo senso in Le 22:18 nella Settanta, in riferimento ai doni che gli israeliti facevano volontariamente, cioè per scelta. Nelle Scritture Greche Cristiane questa parola si riferisce a un gruppo di persone che sostengono punti di vista o dottrine peculiari. È usata a proposito degli aderenti ai due rami principali del giudaismo, rappresentati da farisei e sadducei (At 5:17; 15:5; 26:5). I non cristiani definirono il cristianesimo una “setta” o la “setta dei nazareni”, forse considerandolo una deviazione dal giudaismo (At 24:5, 14; 28:22). Il termine hàiresis era anche utilizzato per descrivere gruppi che si svilupparono all’interno della congregazione cristiana. Gesù diede grande rilievo al valore dell’unità e pregò che potesse regnare fra i suoi discepoli (Gv 17:21); quanto agli apostoli, si impegnarono per preservarla nella congregazione cristiana (1Co 1:10; Gda 17-19). Se i membri della congregazione si fossero separati in gruppi o in fazioni, avrebbero mandato in frantumi quell’unità. Perciò, essendo usata per designare tali gruppi, la parola hàiresis acquisì il significato negativo di fazione, gruppo divisivo, setta. Una divergenza dottrinale poteva dare origine a violente dispute, dissensi e anche ostilità. (Confronta At 23:7-10.) Le sette, considerate “opere della carne”, andavano quindi evitate (Gal 5:19-21; 1Co 11:19; 2Pt 2:1).

feste sfrenate O “gozzoviglie”. Il termine greco kòmos ricorre tre volte nelle Scritture Greche Cristiane e sempre in senso negativo (Gal 5:21; 1Pt 4:3). Secondo un lessico indica una “festa caratterizzata da smodati eccessi nel bere e comportamenti immorali”. Negli antichi testi greci il termine veniva usato in riferimento a sfrenati cortei in onore di divinità pagane come il dio del vino Dioniso (o Bacco), accompagnati da canti e festeggiamenti fino a notte inoltrata. Al tempo degli apostoli quei cortei e quei comportamenti licenziosi erano comuni nelle città greche, incluse quelle dell’Asia Minore (1Pt 1:1). Nella sua prima lettera, Pietro si rivolge a cristiani che prima di diventare tali si abbandonavano a “passioni incontrollate, ubriachezze, feste sfrenate, bevute di gruppo e illecite pratiche idolatriche” (1Pt 4:3, 4). Paolo include le “feste sfrenate” tra le “opere della carne” e aggiunge che “chi pratica tali cose non erediterà il Regno di Dio” (Gal 5:19-21). Nei versetti in cui compare l’espressione “feste sfrenate”, sia Paolo che Pietro menzionano anche cose come ubriachezza, rapporti sessuali immorali, immoralità sessuale, impurità, comportamenti sfrontati e passioni incontrollate.

le opere della carne Nei versetti precedenti Paolo ha menzionato il costante conflitto tra “la carne” e “lo spirito” (Gal 5:13, 17). Ora, nei vv. 19-21, elenca 15 opere, o pratiche, correlate con “la carne”, cioè la natura peccaminosa dell’uomo. (Vedi approfondimenti a Mt 26:41; Gal 5:13, 17.) Queste opere sono il risultato di ciò che una persona pensa e fa quando è influenzata dalla carne peccaminosa (Ro 1:24, 28; 7:21-25). Paolo termina l’elenco con l’espressione “e cose del genere”, a indicare che il suo non va inteso come un elenco esaustivo di tutte le possibili opere della carne. (Vedi approfondimento a Gal 5:21.)

feste sfrenate Vedi approfondimento a Ro 13:13.

e cose del genere Questa espressione dimostra che Paolo non intende fornire un elenco esaustivo di tutto quello che può rientrare tra le opere della “carne”, cioè della natura umana peccaminosa. (Vedi approfondimento a Gal 5:19.) Fa qualcosa di simile in 1Tm 1:10. I cristiani della Galazia avrebbero dovuto usare le loro “facoltà di giudizio” per capire cos’altro potesse rientrare tra le pratiche peccaminose (Eb 5:14). Ad esempio, la calunnia non è menzionata in modo specifico tra le opere della carne, ma è frequente quando ci sono “inimicizia, liti, gelosie, scoppi d’ira, rivalità” (v. 20). Chi in modo impenitente adotta pratiche peccaminose — che siano espressamente elencate o che rientrino tra le “cose del genere” — non erediterà le benedizioni del Regno di Dio.

Contro queste cose non c’è legge Non c’è nessuna legge in grado di limitare quanto un cristiano possa coltivare ciascuna delle qualità prodotte dallo spirito di Dio. Tutte queste qualità sono in piena armonia con la legge dell’amore sancita dalla Legge mosaica (Le 19:18; De 6:5) e dalla “legge del Cristo” (Gal 6:2; Gv 13:34). Il termine greco tradotto “queste cose” potrebbe essere inteso anche con il senso di “cose simili a queste”, il che suggerisce l’idea che il frutto dello spirito di Geova non si limita ai nove aspetti qui elencati. La personalità cristiana è composta da queste e altre qualità, tutte prodotte con l’aiuto dello spirito santo (Ef 4:24, 32; 5:9; Col 3:12-15; Gc 3:17, 18).

L’amore In questa famosa descrizione dell’amore, Paolo usa lo stesso termine greco (agàpe) che si trova in 1Gv 4:8-10, dove Giovanni descrive “l’amore di Dio”. In 1Gv 4:8 si legge addirittura che “Dio è amore”, nel senso che Geova è la personificazione stessa dell’amore. (Vedi approfondimento a Gv 3:16.) Il modo migliore per definire l’amore cristiano è quello di spiegare come agisce. L’amore cristiano è sinonimo di altruismo ed è guidato da princìpi. Spesso include anche il tenero affetto, ma non sempre è così. A volte, infatti, chi lo mostra lo fa perché è la cosa giusta da fare. Per esempio, una persona potrebbe sentirsi profondamente ferita ma mostrare comunque amore cristiano decidendo di “non [tenere] conto del male” (1Co 13:5). Quindi l’amore che Paolo descrive può coinvolgere sia il cuore (i sentimenti di affetto) che la mente (la ferma volontà di seguire le giuste norme stabilite da Dio). (Vedi approfondimenti a Mt 5:44; 22:37.)

ha [...] amato Questa è la prima occorrenza del verbo greco agapào nel Vangelo di Giovanni. Il verbo e il sostantivo affine agàpe (“amore”) ricorrono in questo Vangelo un totale di 44 volte, più che negli altri tre Vangeli messi insieme. Nella Bibbia agapào e agàpe spesso si riferiscono a un amore altruistico che è guidato, o regolato, da princìpi. Ciò è evidente dall’uso che se ne fa in questo versetto, dove si legge che Dio ama il mondo, cioè l’umanità bisognosa di redenzione dal peccato (Gv 1:29). Il sostantivo è usato in 1Gv 4:8, dove Giovanni dice che “Dio è amore”. L’amore (agàpe) è elencato per primo tra gli aspetti del “frutto dello spirito” (Gal 5:22), ed è ampiamente descritto in 1Co 13:4-7. L’uso che nelle Scritture viene fatto di agàpe dimostra che questo amore spesso comporta più di uno slancio emotivo verso un’altra persona. In molti contesti ha una portata più ampia; questo tipo di amore è spesso espresso in modo più riflessivo e ponderato (Mt 5:44; Ef 5:25). Quello coltivato dai cristiani dovrebbe quindi essere un amore dalla connotazione etica, che si basa su ragioni di principio, dovere e correttezza. Non è comunque privo di sentimento, dato che spesso include un profondo affetto (1Pt 1:22). Questo è evidente dall’uso che se ne fa nel Vangelo di Giovanni. Quando scrisse che “il Padre ama il Figlio” (Gv 3:35), Giovanni usò il verbo agapào, ma quando riportò l’affermazione con cui Gesù descrisse quello stesso rapporto, “il Padre vuole bene al Figlio”, usò il verbo filèo (Gv 5:20).

Devi amare Qui compare il verbo greco agapào (“amare”). Questo verbo e il sostantivo affine agàpe (“amore”) ricorrono oltre 250 volte nelle Scritture Greche Cristiane. In 1Gv 4:8 agàpe è presente nella dichiarazione “Dio è amore”, e le Scritture presentano Dio come il massimo esempio di amore altruistico che è guidato da princìpi. Dio mostra amore con attenta premura e in modo attivo. Il suo amore non è semplicemente un sentimento, ma comporta lealtà e gesti concreti. Gli esseri umani che manifestano questo tipo di amore lo fanno a seguito della scelta cosciente di imitare Dio (Ef 5:1). Quindi non è irragionevole che venga dato loro il comando di amare, come nei due più grandi comandamenti menzionati nel contesto. Gesù qui cita De 6:5. Nelle Scritture Ebraiche si fa riferimento all’amore principalmente con il verbo ʼahèv o ʼahàv (“amare”) e il sostantivo ʼahavàh (“amore”). Questi termini ebraici trasmettono una gamma di significati simile a quella trasmessa dai termini greci menzionati sopra. Quando si riferiscono all’amore per Geova, questi termini esprimono il desiderio di essergli completamente devoti e di servire esclusivamente lui. Gesù manifestò questo tipo di amore in modo perfetto. Dimostrò che l’amore per Geova è più che semplice affetto nei suoi confronti. Permea l’intera vita di una persona e influenza tutti i suoi pensieri, le sue parole e le sue azioni. (Vedi approfondimento a Gv 3:16.)

non è un Dio di disordine, ma di pace Qui Paolo mette in contrasto il disordine con la pace. In altre lettere chiama Geova “l’Iddio [o “Dio”] della pace” (Flp 4:9; 1Ts 5:23; Eb 13:20) e “l’Iddio che dà pace” (Ro 15:33; 16:20). La pace che viene da Dio è alla base dell’ordine e dell’unità che regnano nella congregazione cristiana. Paolo non intende dire che fare le cose in modo organizzato generi di per sé pace. Intende piuttosto dire che, tenendo le adunanze in modo ordinato, i corinti potranno godere di un’atmosfera pacifica che permetterà a tutti i presenti di uscirne edificati e incoraggiati (1Co 14:26-32). Quando vengono tenute in modo ordinato, le adunanze, che sono un momento di adorazione, rispecchiano le qualità e la personalità dell’Iddio della pace e gli recano onore.

Nessuno è buono tranne uno solo, Dio Qui Gesù riconosce che il modello assoluto di bontà è Geova, l’unico che abbia il diritto sovrano di determinare ciò che è bene (buono) e ciò che è male. Quando si ribellarono mangiando il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, Adamo ed Eva cercarono di arrogarsi questo diritto (Gen 2:17; 3:4-6). Invece Gesù lascia umilmente che sia suo Padre a stabilire delle norme. E Dio ha espresso chiaramente ciò che è bene per mezzo dei comandi contenuti nella sua Parola (Mr 10:19).

esercita fede in lui Lett. “credente in lui”. Il verbo greco pistèuo (affine al sostantivo pìstis, generalmente reso “fede”) ha il significato base di “credere”, “confidare”, “avere fede”, ma a seconda del contesto e di come è costruito può assumere varie sfumature. Il significato di questo termine va oltre il semplice credere o riconoscere che qualcuno esiste (Gc 2:19). Include l’idea di una fede e una fiducia che portano ad agire con ubbidienza. In Gv 3:16 il verbo greco pistèuo è costruito con la preposizione eis, “in”, “verso”. Riguardo a questa costruzione, uno studioso ha osservato: “La fede è concepita come qualcosa di attivo, un agire da parte dell’uomo, cioè il riporre fede in qualcuno” (P. L. Kaufman, An Introductory Grammar of New Testament Greek). Gesù stava chiaramente parlando di una vita interamente caratterizzata dalla fede, non di un singolo atto di fede. In Gv 3:36 un’espressione simile, “chi esercita fede nel Figlio”, è messa in contrapposizione con “chi disubbidisce al Figlio”. Quindi in questo contesto “esercitare fede” include l’idea di dimostrare le proprie ferme convinzioni o la propria fede con l’ubbidienza.

il frutto dello spirito O “ciò che lo spirito produce”. Il sostantivo originale per “frutto” è karpòs, termine tipico del mondo agricolo che si ritrova spesso nelle Scritture. Qui è usato metaforicamente in riferimento alle qualità che lo spirito santo di Dio, cioè la sua potenza in azione, può produrre negli esseri umani (Gal 5:16). Proprio come un albero porta frutto quando viene coltivato a dovere, una persona produce “il frutto dello spirito” quando permette allo spirito di influire sul suo modo di pensare e di agire. (Confronta Sl 1:1-3.) Le qualità che ne scaturiscono riflettono la personalità di Geova Dio, la Fonte dello spirito santo (Col 3:9, 10). L’elenco fatto nei vv. 22, 23 non ha la pretesa di abbracciare tutte le qualità che lo spirito santo produce nei cristiani. (Vedi approfondimento a Gal 5:23.) L’insieme di queste qualità caratterizza la nuova personalità (Ef 4:24). Paolo qui usa il singolare di karpòs, cioè “frutto”, non “frutti”. Alcuni biblisti fanno notare che questo uso del singolare lascerebbe intendere che le belle qualità specificamente menzionate formano un tutt’uno: sono tutte importanti da coltivare, e nessuna può esistere separata dalle altre.

amore Qui “amore” traduce il greco agàpe. Il modo migliore per definire l’amore cristiano (agàpe) è quello di spiegare come agisce, cosa che Paolo fa in 1Co 13:4-8. (Vedi approfondimento a 1Co 13:4.) Giovanni usa lo stesso termine in 1Gv 4:8-10, dove descrive “l’amore di Dio”. Arriva a dire che “Dio è amore”, nel senso che Geova è la personificazione stessa dell’amore. (Vedi approfondimento a Gv 3:16.) Gesù disse che amare Dio e amare il prossimo sono i due più grandi comandamenti (Mt 22:37-39; vedi approfondimento a Mt 22:37).

gioia La gioia è un bel sentimento che nasce dal conseguimento o dall’attesa di cose buone; è uno stato di felicità autentica. Il termine originale definisce una qualità interiore ben radicata. Geova, il “felice Dio”, è la Fonte della gioia e desidera che i suoi servitori siano gioiosi (1Tm 1:11). Con l’aiuto dello spirito santo, un cristiano può conservare la gioia nonostante difficoltà, sofferenze o persecuzione (Col 1:11; Eb 12:2; Gc 1:2-4).

pace Il termine greco originale ha un’ampia gamma di sfumature. In questo contesto “pace” implica la serenità interiore che deriva da una stretta amicizia con Geova, “l’Iddio [o “Dio”] della pace” (Flp 4:9; 1Ts 5:23; Eb 13:20; vedi approfondimento a 1Co 14:33). Nella Bibbia viene spesso menzionata insieme allo spirito santo di Dio (At 9:31; Ro 8:6; 15:13). Con l’aiuto del suo spirito, chi è in pace con Dio promuove armonia, unità e buoni rapporti con gli altri (Mt 5:9; 2Co 13:11; Gc 3:18).

pazienza O “longanimità”. Il termine greco makrothymìa alla lettera potrebbe essere reso “lunghezza di spirito” (Kingdom Interlinear); denota la capacità di perseverare con calma, di sopportare e di non arrabbiarsi facilmente. Geova Dio è il più grande esempio di pazienza (Ro 2:4; 9:22; 1Tm 1:16; 1Pt 3:20; 2Pt 3:9, 15). Paolo menziona la pazienza tra gli aspetti essenziali dell’amore cristiano (1Co 13:4; vedi App. A2).

benignità Si tratta della condizione o del comportamento che caratterizza chi s’interessa attivamente del benessere altrui e agisce in modo amichevole, soccorrevole e altruista. Geova Dio dimostra benignità persino verso gli ingrati e i malvagi (Lu 6:35; Ro 2:4; 11:22; Tit 3:4, 5). In Mt 11:30 compare l’aggettivo greco corrispondente, reso “piacevole” (“facile da portare”, nt.), per descrivere il giogo di Gesù sui suoi discepoli. I cristiani, che sono sotto questo giogo, sono incoraggiati a rivestirsi di benignità (Ef 4:32, nt.; Col 3:12).

bontà Qui con “bontà” si intende eccellenza morale, virtù. Un lessico definisce il termine greco originale come “qualità morale positiva caratterizzata in particolar modo da interesse per il benessere altrui”. Quindi per un cristiano la bontà non dev’essere solo una qualità interiore: deve tramutarsi in azioni. Anche se imperfetto, il cristiano può coltivare la bontà ubbidendo ai comandi di Geova e imitando la sua bontà e generosità (At 9:36, 39; 16:14, 15; Ro 7:18; Ef 5:1). In Geova questa qualità trova la sua massima espressione (Sl 25:8; Zac 9:17; Mr 10:18 e approfondimento). È un Dio veramente generoso e premuroso (At 14:17).

fede Questo termine traduce il greco pìstis, che trasmette principalmente l’idea di fiducia, ferma convinzione. In Eb 11:1 Paolo dà una definizione ispirata da Dio del termine “fede”. Come nel caso dell’amore, il modo migliore per definire la fede è quello di spiegare come agisce (Gc 2:18, 22; vedi approfondimento a Gv 3:16). Le Scritture indicano che la fede cristiana dovrebbe crescere e diventare sempre più forte. Appropriatamente i discepoli chiesero a Gesù: “Dacci più fede” (Lu 17:5). Paolo lodò i cristiani di Tessalonica dicendo loro: “La vostra fede cresce straordinariamente” (2Ts 1:3; vedi anche 2Co 10:15). Nel libro di Galati la “fede” è menzionata più di 20 volte, perlopiù in riferimento alla fiducia in Dio o in Cristo, come in questo caso (Gal 3:6, 11). In 2Ts 3:2 Paolo scrisse: “Non tutti possiedono la fede”. Per avere una forte fede, una persona deve avere lo spirito santo di Geova.

mitezza Il termine descrive quella pacatezza e calma interiore che il cristiano manifesta nel suo rapporto con Dio e nel suo comportamento nei confronti degli altri (Gal 6:1; Ef 4:1-3; Col 3:12). Dato che è un aspetto del frutto dello spirito di Dio, la mitezza non si acquisisce con la sola forza di volontà. Il cristiano la coltiva avvicinandosi a Dio, chiedendogli il suo spirito in preghiera e lasciando che lo spirito agisca in lui. Essere miti non significa essere codardi o deboli. Il termine greco per “mitezza” (praỳtes) ha il significato di gentilezza e forza combinate insieme, forza sotto controllo. Nelle Scritture compare anche l’aggettivo corrispondente (praỳs), reso “mite” (Mt 21:5; 1Pt 3:4). Gesù si definì mite (Mt 11:29), ma non si può certo dire che fosse un debole. (Vedi Mt 5:5 e approfondimento.)

autocontrollo O “padronanza di sé”. Il termine greco reso “autocontrollo” compare quattro volte nelle Scritture Greche Cristiane (At 24:25; 2Pt 1:6). Questa qualità è stata definita “controllo esercitato sugli impulsi, sulle emozioni e sui desideri”. Il verbo originale affine compare in 1Co 9:25 (vedi approfondimento), dove Paolo a proposito degli atleti scrive: “Chiunque partecipa a una gara si padroneggia in ogni cosa”. Lo stesso verbo greco è usato nella Settanta in Gen 43:31 per dire che Giuseppe si padroneggiò. Nell’originale ebraico lì è presente un verbo che compare anche in Isa 42:14, dove il profeta riporta le parole di Geova: “Mi sono trattenuto”. Invece di agire immediatamente contro i malvagi, Geova ha lasciato passare del tempo affinché potessero avere l’opportunità di abbandonare il loro comportamento sbagliato e ottenere così il suo favore (Ger 18:7-10; 2Pt 3:9).

Contro queste cose non c’è legge Non c’è nessuna legge in grado di limitare quanto un cristiano possa coltivare ciascuna delle qualità prodotte dallo spirito di Dio. Tutte queste qualità sono in piena armonia con la legge dell’amore sancita dalla Legge mosaica (Le 19:18; De 6:5) e dalla “legge del Cristo” (Gal 6:2; Gv 13:34). Il termine greco tradotto “queste cose” potrebbe essere inteso anche con il senso di “cose simili a queste”, il che suggerisce l’idea che il frutto dello spirito di Geova non si limita ai nove aspetti qui elencati. La personalità cristiana è composta da queste e altre qualità, tutte prodotte con l’aiuto dello spirito santo (Ef 4:24, 32; 5:9; Col 3:12-15; Gc 3:17, 18).

si padroneggia Gli atleti che si preparavano a una gara si sottoponevano a una dura disciplina. Molti seguivano una dieta ferrea, e alcuni non bevevano vino. Lo storico Pausania scrive che gli allenamenti per i Giochi Olimpici duravano 10 mesi, e si presume che la preparazione atletica per altri importanti giochi avesse una durata simile.

i miti La mitezza è una qualità che viene da dentro. La persona mite si sottomette volontariamente al volere di Dio e segue la sua guida, e non cerca di prevalere sugli altri. Il termine greco originale non racchiude in sé il concetto di codardia o debolezza. Nella Settanta questo stesso termine greco compare a fronte di uno ebraico che può essere tradotto “mansueto” o “umile”. È utilizzato in riferimento a Mosè (Nu 12:3), a coloro che si lasciano istruire (Sl 25:9), a quelli che erediteranno la terra (Sl 37:11) e al Messia (Zac 9:9; Mt 21:5). Gesù descrisse sé stesso come una persona mite (Mt 11:29).

hanno messo al palo Nel testo originale compare il verbo stauròo, verbo che i Vangeli usano in relazione all’esecuzione di Gesù. Qui Paolo lo utilizza in senso metaforico. (Confronta approfondimento a Ro 6:6.) Il verbo si riferisce alle misure energiche e drastiche che i discepoli di Cristo devono prendere per mettere a morte la carne, cioè la natura umana peccaminosa. Quando il cristiano domina e tiene sotto controllo le “passioni” e i “desideri” peccaminosi della carne, è come se quei desideri fossero morti e non avessero più alcun potere su di lui (Gal 5:16). Le parole di questo versetto sono strettamente collegate a quanto detto subito prima, in quanto evidenziano che quelli che appartengono a Cristo devono abbandonare in modo netto “le opere della carne” menzionate nei vv. 19-21.

è stata messa al palo con lui I Vangeli usano il verbo greco synstauròo in relazione a coloro che vennero letteralmente messi a morte accanto a Gesù (Mt 27:44; Mr 15:32; Gv 19:32). Nelle sue lettere, Paolo menziona più volte il fatto che Gesù fu messo al palo (1Co 1:13, 23; 2:2; 2Co 13:4), ma qui il concetto è metaforico. Paolo spiega che i cristiani hanno messo a morte la loro vecchia personalità esercitando fede nel Cristo messo al palo. Nella sua lettera ai Galati, Paolo usò synstauròo in modo simile quando scrisse: “Sono messo al palo con Cristo” (Gal 2:20).

Non diventiamo presuntuosi Dopo aver messo in contrasto “le opere della carne” con “il frutto dello spirito” (Gal 5:19-23), Paolo aggiunge le chiare parole che si trovano in questo versetto. Il termine greco tradotto “presuntuoso” (kenòdoxos) descrive un futile desiderio di gloria e alla lettera ha in sé il senso di “vanagloria”. Ricorre solo qui nelle Scritture Greche Cristiane. Secondo un lessico viene utilizzato per indicare chi ha un’esagerata opinione di sé, chi è borioso e si vanta. Fa pensare a chi ha il forte desiderio di ricevere lodi senza che ce ne sia un motivo davvero valido. In Flp 2:3 si trova un termine greco affine che è stato reso “vanagloria”.

rivaleggiando O “sfidandoci gli uni gli altri a una prova di forza”. Un lessico spiega che il termine greco usato qui significa letteralmente “chiamare avanti qualcuno, perlopiù in modo ostile, con il senso di provocare, sfidare”. Un altro lessico dice che significa “sfidare qualcuno a un combattimento o a una gara”.

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