Vangelo secondo Giovanni 5:1-47

5  Dopo questi fatti ricorreva una festa+ dei giudei, e Gesù salì a Gerusalemme.  Là, presso la Porta delle Pecore,+ c’è una piscina chiamata in ebraico Betzàta, con cinque portici.  Sotto di essi stava un gran numero di malati, ciechi, zoppi e persone con arti paralizzati.*  [.⁠.⁠.]  C’era anche un uomo malato da 38 anni.  Vedendolo lì sdraiato e sapendo che stava male già da molto tempo, Gesù gli chiese: “Vuoi guarire?”+  Il malato gli rispose: “Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita, e nel momento in cui mi avvicino, ecco che un altro ci entra prima di me”.  Gesù gli disse: “Alzati! Prendi la tua stuoia e cammina”.+  All’istante l’uomo guarì e, presa la sua stuoia, si mise a camminare. Quel giorno era Sabato,+ 10  perciò i giudei dissero all’uomo guarito: “È Sabato! Non ti è permesso portare la stuoia”.+ 11  Ma lui rispose: “È stato quello che mi ha guarito a dirmi: ‘Prendi la tua stuoia e cammina’”. 12  Loro gli chiesero: “Chi è l’uomo che ti ha detto di prenderla e camminare?” 13  Ma lui non sapeva chi fosse, perché Gesù se n’era andato mescolandosi tra la folla che era lì. 14  Più tardi Gesù incontrò l’uomo nel tempio e gli disse: “Ecco, sei guarito; non peccare più, così che non ti capiti qualcosa di peggio”. 15  L’uomo se ne andò e riferì ai giudei che era stato Gesù a guarirlo. 16  Per questo motivo, dato che Gesù faceva queste cose di Sabato, i giudei lo perseguitavano.+ 17  Dal canto suo, lui dichiarò: “Il Padre mio ha continuato a operare fino ad ora, e io continuo a operare”.+ 18  Perciò i giudei cercavano di ucciderlo con ancor più determinazione, non solo perché violava il Sabato ma anche perché chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.+ 19  Quindi Gesù rispose loro: “In verità, sì, in verità vi dico: il Figlio non può fare una sola cosa di sua iniziativa, ma fa solo ciò che vede fare dal Padre.+ Qualunque cosa Egli faccia, anche il Figlio la fa allo stesso modo. 20  Infatti il Padre vuole bene al Figlio+ e gli mostra tutte le cose che lui stesso fa, e gli mostrerà opere più grandi di queste, affinché vi meravigliate.+ 21  Come il Padre risuscita i morti e dà loro vita,+ così anche il Figlio dà vita a chi vuole,+ 22  perché il Padre non giudica nessuno, ma ha interamente affidato il giudizio al Figlio,+ 23  affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato.+ 24  In verità, sì, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato ha vita eterna+ e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita.+ 25  “In verità, sì, in verità vi dico: viene il tempo, ed è questo, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che avranno prestato attenzione vivranno. 26  Infatti il Padre ha concesso al Figlio di avere in sé la vita,+ proprio come Egli ha in sé la vita.+ 27  E gli ha dato l’autorità di giudicare,+ perché è il Figlio dell’uomo.+ 28  Non meravigliatevi di questo, perché verrà il tempo in cui tutti quelli che sono nelle tombe commemorative udranno la sua voce+ 29  e ne usciranno: quelli che hanno fatto cose buone per una risurrezione di vita, mentre quelli che hanno praticato cose ignobili per una risurrezione di giudizio.+ 30  Io non posso fare una sola cosa di mia iniziativa. Proprio come odo, giudico; e il mio giudizio è giusto,+ perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.+ 31  “Se fossi solo io a rendere testimonianza in mio favore, la mia testimonianza non sarebbe vera.*+ 32  C’è un altro che testimonia in mio favore, e so che la testimonianza che rende in mio favore è vera.*+ 33  Voi mandaste degli uomini da Giovanni, e lui rese testimonianza riguardo alla verità.+ 34  Io comunque non ho bisogno della testimonianza di un uomo, ma dico queste cose perché siate salvati. 35  Quell’uomo era una lampada ardente e risplendente, e per un po’ voi avete desiderato gioire per la sua luce.+ 36  Ma io godo di una testimonianza maggiore di quella resa da Giovanni, perché le opere stesse che il Padre mio mi ha incaricato di compiere — queste opere che io compio — testimoniano che il Padre mi ha mandato.+ 37  E il Padre stesso che mi ha mandato ha reso testimonianza in mio favore.+ Voi non avete mai sentito la sua voce né visto il suo aspetto,+ 38  e la sua parola non rimane in voi, perché non credete a colui che egli ha mandato. 39  “Voi esaminate le Scritture+ perché pensate che avrete vita eterna tramite esse; e sono proprio queste che rendono testimonianza riguardo a me.+ 40  Eppure non volete venire da me+ per avere la vita. 41  Io non ho bisogno della gloria che danno gli uomini,* 42  ma so bene che non avete in voi l’amore di Dio. 43  Io sono venuto nel nome del Padre mio, ma voi non mi accogliete. Se qualcun altro venisse nel proprio nome, lui lo accogliereste. 44  Come potete credere, se accettate la gloria gli uni dagli altri+ ma non cercate la gloria che viene dal solo Dio?+ 45  Non pensate che vi accuserò io davanti al Padre: ad accusarvi c’è uno in cui avete riposto la vostra speranza, Mosè.+ 46  Se infatti credeste a Mosè, credereste a me, perché lui scrisse riguardo a me.+ 47  Ma se non credete a quello che lui scrisse, come crederete alle mie parole?”+

Note in calce

O “secchi”.
O “valida”.
O “valida”.
O “persone”, “esseri umani”.

Approfondimenti

la Pasqua Gesù iniziò la sua predicazione dopo il battesimo, nell’autunno del 29. La Pasqua che Giovanni menziona all’inizio del ministero di Gesù deve quindi riferirsi a quella celebrata nella primavera del 30. (Vedi approfondimento a Lu 3:1 e App. A7.) Da un confronto tra i quattro Vangeli emerge che durante il ministero terreno di Gesù la Pasqua fu celebrata quattro volte, e questo porta alla conclusione che il suo ministero durò tre anni e mezzo. I Vangeli di Matteo, Marco e Luca (spesso definiti sinottici) menzionano solo l’ultima, la Pasqua in cui Gesù morì. Giovanni ne menziona in modo esplicito tre (Gv 2:13; 6:4; 11:55), e molto probabilmente si riferisce a una quarta Pasqua con l’espressione “festa dei giudei” in Gv 5:1. Questo esempio sottolinea l’importanza di fare un confronto tra i Vangeli per ottenere un quadro più completo della vita di Gesù. (Vedi approfondimenti a Gv 5:1; 6:4; 11:55.)

una festa dei giudei Anche se Giovanni non specifica a quale festa faccia riferimento, ci sono buone ragioni per concludere che si tratti della Pasqua del 31. In genere Giovanni narra gli avvenimenti in ordine cronologico. In base al contesto, questa festa si colloca poco dopo il momento in cui Gesù disse che mancavano “ancora quattro mesi alla mietitura” (Gv 4:35). La mietitura, in particolare quella dell’orzo, iniziava nel periodo della Pasqua (14 nisan). Gesù avrebbe quindi fatto quell’affermazione quattro mesi prima, all’incirca nel mese di chislev (novembre/dicembre). Tra i mesi di chislev e nisan ricorrevano anche altre due feste, quella della Dedicazione e quella dei Purim. Ma quelle feste non richiedevano che un israelita andasse a Gerusalemme. Quindi in questo caso la “festa dei giudei” per cui Gesù andò a Gerusalemme come richiesto dalla Legge che Dio aveva dato a Israele sembra essere molto probabilmente la Pasqua (De 16:16). È vero che Giovanni riferisce solo pochi avvenimenti prima della successiva menzione della Pasqua (Gv 6:4), ma un esame dello schema dell’App. A7 indica che Giovanni tratta in modo molto conciso la prima parte del ministero di Gesù, sorvolando su molti avvenimenti già menzionati dagli altri tre evangelisti. Ma le molte attività di Gesù riportate negli altri Vangeli avvalorano la conclusione che ci fu un’altra Pasqua annuale fra quella menzionata in Gv 2:13 e quella menzionata in Gv 6:4. (Vedi App. A7 e approfondimento a Gv 2:13.)

ebraico Nelle Scritture Greche Cristiane, gli scrittori biblici ispirati usarono il termine “ebraico” per indicare la lingua parlata dai giudei (Gv 19:13, 17, 20; At 21:40; 22:2; Ri 9:11; 16:16), come pure la lingua in cui Gesù, una volta risuscitato e glorificato, si rivolse a Saulo di Tarso (At 26:14, 15). In At 6:1 si fa una distinzione fra “giudei di lingua ebraica” e “giudei di lingua greca”. Anche se alcuni studiosi ritengono che in questi riferimenti il termine “ebraico” andrebbe reso “aramaico”, ci sono validi motivi per credere che il termine si riferisca effettivamente alla lingua ebraica. In At 21:40; 22:2 il medico Luca dice che Paolo parlò agli abitanti di Gerusalemme “in ebraico”; in quella circostanza Paolo si stava rivolgendo a persone la cui vita era incentrata sullo studio della Legge mosaica in lingua ebraica. Inoltre, fra i tanti frammenti e manoscritti che costituiscono i Rotoli del Mar Morto, la prevalenza di testi biblici e non biblici in ebraico mostra che questa lingua era usata quotidianamente. E la presenza, seppur minore, di frammenti in aramaico dimostra che venivano utilizzate entrambe le lingue. Sembra quindi molto improbabile che con il termine “ebraico” gli scrittori biblici si riferissero all’aramaico o al siriaco. (Confronta At 26:14.) In precedenza le Scritture Ebraiche avevano distinto l’“aramaico” dalla “lingua dei giudei” (2Re 18:26), e Giuseppe Flavio, storico del I secolo, in riferimento a questo stesso passo biblico parla dell’“aramaico” e dell’“ebraico” come di due lingue diverse (Antichità giudaiche, X, 8 [i, 2]). È vero che l’aramaico e l’ebraico presentano termini abbastanza simili e che forse altri termini ebraici sono prestiti dall’aramaico, ma sembra che non ci sia alcuna ragione per cui gli scrittori delle Scritture Greche Cristiane dovessero dire “ebraico” se intendevano “aramaico”.

Betzata Il termine ebraico significa “casa dell’olivo [o “degli olivi”]”. In alcuni manoscritti la piscina è chiamata “Betesda”, che forse significa “casa di misericordia”. Altri manoscritti riportano “Betsaida”, che significa “casa del cacciatore [o “del pescatore”]”. Oggi molti studiosi prediligono la forma Betzata.

Sotto di essi stava un gran numero di malati Secondo una credenza popolare, entrando nella piscina quando l’acqua si agitava era possibile essere guariti (Gv 5:7). Per questo motivo, coloro che volevano essere sanati andavano lì. La Bibbia, però, non dice che presso la piscina di Betzata un angelo di Dio compisse miracoli. (Vedi approfondimento a Gv 5:4.) Quello che dice è che lì fu compiuto un miracolo da Gesù. È degno di nota che l’uomo non ebbe bisogno di entrare nell’acqua, ma fu guarito all’istante.

Alcuni manoscritti concludono il v. 3 e continuano con il v. 4 aggiungendo, per intero o in parte, il testo che segue: “in attesa del movimento dell’acqua. 4 Un angelo del Signore [o “di Geova”], infatti, di tanto in tanto scendeva nella piscina e agitava l’acqua; il primo, quindi, che si immergeva dopo il movimento dell’acqua guariva da qualunque malattia fosse affetto”. Queste parole, comunque, non compaiono nei manoscritti più antichi e autorevoli, e molto probabilmente non fanno parte del testo originale di Giovanni. (Vedi App. A3.) In alcune traduzioni in ebraico delle Scritture Greche Cristiane (definite J9, 22, 23 nell’App. C4) si legge “un angelo di Geova” invece che “un angelo del Signore”.

Alcuni manoscritti concludono il v. 3 e continuano con il v. 4 aggiungendo, per intero o in parte, il testo che segue: “in attesa del movimento dell’acqua. 4 Un angelo del Signore [o “di Geova”], infatti, di tanto in tanto scendeva nella piscina e agitava l’acqua; il primo, quindi, che si immergeva dopo il movimento dell’acqua guariva da qualunque malattia fosse affetto”. Queste parole, comunque, non compaiono nei manoscritti più antichi e autorevoli, e molto probabilmente non fanno parte del testo originale di Giovanni. (Vedi App. A3.) In alcune traduzioni in ebraico delle Scritture Greche Cristiane (definite J9, 22, 23 nell’App. C4) si legge “un angelo di Geova” invece che “un angelo del Signore”.

stuoia O “branda”, “letto”. Nei paesi biblici il letto era spesso una semplice stuoia di paglia o di giunchi, forse reso più comodo con un’imbottitura o una specie di materasso. Quando non serviva, veniva arrotolato e riposto. In questo contesto il termine greco kràbattos si riferisce evidentemente al letto di un povero. Nel racconto di Mr 2:4-12, la stessa parola greca si riferisce a un qualche tipo di “barella” su cui il paralitico veniva trasportato.

giudei Nel Vangelo di Giovanni questo termine trasmette significati un po’ diversi a seconda del contesto. Può riferirsi agli ebrei in generale, agli abitanti della Giudea o a chi viveva a Gerusalemme o nei dintorni. Può anche riferirsi ai giudei che si attenevano con fanatismo a tradizioni umane legate alla Legge mosaica e che erano ostili a Gesù. In questo contesto “giudei” potrebbe indicare le autorità giudaiche o i capi religiosi, ma potrebbe anche essere stato usato in senso più ampio per includere altri giudei che erano fanatici sostenitori delle tradizioni.

non peccare più Qui Gesù non intende dire che la malattia dell’uomo era dovuta a qualche peccato che aveva commesso. Al contrario, l’uomo che ha guarito era malato da 38 anni a motivo dell’imperfezione ereditata (Gv 5:5-9; confronta Gv 9:1-3). Dal momento che l’uomo è stato trattato con misericordia e ora è guarito, Gesù lo incoraggia a seguire la via della salvezza e a evitare di commettere peccati volontari che potrebbero portare a qualcosa di peggio della malattia, ovvero alla distruzione eterna (Eb 10:26, 27).

perseguitavano Il verbo greco qui usato è all’imperfetto, il che indica che i giudei — forse i capi giudei o i giudei che si attenevano con fanatismo a tradizioni umane legate alla Legge mosaica — da allora cominciarono a perseguitare Gesù e continuarono a farlo.

facendosi uguale a Dio Pur chiamando giustamente Dio suo Padre, Gesù non affermò mai di essere uguale a Dio (Gv 5:17). Furono piuttosto i giudei ad accusarlo di aver tentato di farsi uguale a Dio dicendo che Dio era suo Padre. Ma questa loro accusa era falsa, proprio come lo era l’accusa che Gesù violasse il Sabato. Gesù lo rese chiaro con le parole riportate nei vv. 19-24, dove disse che non poteva fare nulla di sua iniziativa. È evidente quindi che non stava affermando di essere uguale a Dio (Gv 14:28).

di sua iniziativa O “per conto proprio”, cioè in modo indipendente. Lett. “da sé stesso”. Quale principale rappresentante di Geova Dio, Gesù ascolta sempre la sua voce e proferisce quello che lui ordina.

il Padre vuole bene al Figlio Gesù qui descrive l’affettuoso legame di unità e amicizia che esiste tra lui e il Padre sin dagli albori della creazione (Pr 8:30). Quando Giovanni riportò le parole con cui Gesù descrisse questo rapporto, usò il verbo greco filèo (“voler bene”). Questo verbo spesso denota un legame molto stretto, come quello che esiste tra veri amici. Per esempio, è usato per descrivere il legame di amicizia che c’era tra Gesù e Lazzaro (Gv 11:3, 36). È usato anche per indicare il rapporto familiare che lega genitori e figli (Mt 10:37). Filèo ricorre inoltre quando viene menzionato l’attaccamento forte e caloroso che Geova ha per i seguaci di suo Figlio e l’affetto che i discepoli avevano per Gesù (Gv 16:27).

risurrezione di giudizio Quelli che prima di morire “hanno praticato cose ignobili” riceveranno una “risurrezione di giudizio”. Il termine greco qui reso “giudizio” (krìsis) può avere diverse sfumature di significato, a seconda del contesto. (Vedi approfondimento a Gv 5:24.) In questo versetto sembra descrivere un processo di valutazione o, come dice un lessico greco, un’“indagine sul comportamento di qualcuno”. Quelli che riceveranno una “risurrezione di giudizio” coincidono evidentemente con gli “ingiusti” menzionati in At 24:15. Questi ingiusti verranno giudicati sulla base del comportamento che terranno durante il Regno di Cristo e di coloro che saranno giudici con lui (Lu 22:30; Ro 6:7). Durante questo periodo di valutazione, “ognuno di loro [sarà] giudicato secondo le sue opere” (Ri 20:12, 13). Solo coloro che rinnegheranno il loro precedente modo di vivere ingiusto avranno il proprio nome scritto nel “libro della vita” e riceveranno la “vita eterna” (Ri 20:15; Gv 3:36).

Lascia che i morti seppelliscano i loro morti Come spiega l’approfondimento a Lu 9:59, molto probabilmente il padre dell’uomo che stava parlando con Gesù era anziano o malato, ma non morto. Quindi Gesù stava evidentemente dicendo: “Lascia che quelli che sono spiritualmente morti seppelliscano i loro morti”; l’uomo non doveva rimandare la decisione di seguire Gesù, dato che a quanto pare c’erano altri familiari che potevano prendersi cura del padre fino alla sua morte. Seguendo Gesù, l’uomo avrebbe imboccato la strada che porta alla vita eterna e non sarebbe stato tra quelli che sono spiritualmente morti dal punto di vista di Dio. Con la sua risposta Gesù fa capire che mettere al primo posto nella propria vita il Regno di Dio e annunciarlo in lungo e in largo è essenziale per rimanere spiritualmente vivi.

i morti Riferendosi al tempo (l’ora) in cui i morti avrebbero udito la sua voce, Gesù disse: è questo. Quindi poteva intendere solo esseri umani in vita che avevano ereditato il peccato da Adamo ed erano perciò condannati a morire (Ro 5:12). Dal punto di vista di Dio, gli uomini in generale non hanno nessun diritto alla vita perché “il salario” che il peccato paga loro è la morte (Ro 6:23). Ascoltando la “parola” di Gesù e prestandovi attenzione, una persona sarebbe potuta simbolicamente passare “dalla morte alla vita”. (Vedi approfondimento a Gv 5:24.) I verbi “udire” e “ascoltare” sono usati spesso nella Bibbia nel senso di “prestare attenzione” o “ubbidire”.

giudizio Il termine greco krìsis, qui reso “giudizio”, può trasmettere varie sfumature di significato. È il contesto a chiarirne il senso. Ad esempio, krìsis può denotare l’atto di valutare o giudicare oppure il processo di valutazione o giudizio (Gv 5:22, 27, 29 e approfondimento), come pure la qualità della giustizia (Mt 23:23; Lu 11:42) o un tribunale (Mt 5:21). Può anche riferirsi a un giudizio favorevole o sfavorevole, ma nella maggioranza delle occorrenze delle Scritture Greche Cristiane trasmette l’idea di condanna. In questo versetto “giudizio” è messo in parallelo con morte ed è in contrasto con vita e vita eterna; si riferisce quindi a un giudizio che determina la perdita della vita (2Pt 2:9; 3:7).

è passato dalla morte alla vita Gesù a quanto pare parla di coloro che un tempo erano spiritualmente morti ma che, ascoltando le sue parole, ripongono fede in lui e smettono di camminare nel peccato abbandonando la loro condotta (Ef 2:1, 2, 4-6). Passano “dalla morte alla vita” nel senso che la loro condanna a morte viene revocata e, dal momento che ripongono fede in Dio, viene offerta loro la speranza della vita eterna. Sembra che Gesù si riferisca a coloro che sono spiritualmente morti anche quando, in risposta all’uomo ebreo che vuole andare a casa a seppellire il padre, dice: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti” (Lu 9:60; vedi approfondimenti a Lu 9:60; Gv 5:25).

i morti Riferendosi al tempo (l’ora) in cui i morti avrebbero udito la sua voce, Gesù disse: è questo. Quindi poteva intendere solo esseri umani in vita che avevano ereditato il peccato da Adamo ed erano perciò condannati a morire (Ro 5:12). Dal punto di vista di Dio, gli uomini in generale non hanno nessun diritto alla vita perché “il salario” che il peccato paga loro è la morte (Ro 6:23). Ascoltando la “parola” di Gesù e prestandovi attenzione, una persona sarebbe potuta simbolicamente passare “dalla morte alla vita”. (Vedi approfondimento a Gv 5:24.) I verbi “udire” e “ascoltare” sono usati spesso nella Bibbia nel senso di “prestare attenzione” o “ubbidire”.

è passato dalla morte alla vita Gesù a quanto pare parla di coloro che un tempo erano spiritualmente morti ma che, ascoltando le sue parole, ripongono fede in lui e smettono di camminare nel peccato abbandonando la loro condotta (Ef 2:1, 2, 4-6). Passano “dalla morte alla vita” nel senso che la loro condanna a morte viene revocata e, dal momento che ripongono fede in Dio, viene offerta loro la speranza della vita eterna. Sembra che Gesù si riferisca a coloro che sono spiritualmente morti anche quando, in risposta all’uomo ebreo che vuole andare a casa a seppellire il padre, dice: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti” (Lu 9:60; vedi approfondimenti a Lu 9:60; Gv 5:25).

ha in sé la vita O “ha in sé il dono della vita”. Gesù ha “in sé la vita” perché suo Padre Geova gli ha concesso un potere che in origine solo Lui aveva. Questo potere senza dubbio include l’autorità di dare agli uomini l’opportunità di avere una condizione approvata agli occhi di Dio e quindi di ottenere la vita, come pure la capacità di dare la vita risuscitando i morti. Circa un anno dopo aver fatto l’affermazione qui riportata, Gesù indicò che i suoi discepoli potevano avere vita in sé. (Per il significato dell’espressione “vita in voi” applicata ai discepoli di Gesù, vedi approfondimento a Gv 6:53.)

vita in voi In precedenza, come riportato in Gv 5:26, Gesù aveva detto che gli era stato concesso di “avere in sé la vita”, proprio come suo Padre “ha in sé la vita”. (Vedi approfondimento a Gv 5:26.) Ora, a distanza di circa un anno, usa la stessa espressione riferendosi ai suoi discepoli. Qui mette sullo stesso piano le espressioni “vita in voi” e “vita eterna” (Gv 6:54). Anziché indicare la capacità di dare la vita, in questo contesto l’espressione “vita in sé” sembra riferirsi all’essere vivi nel senso più pieno. I cristiani unti sono vivi nel senso più pieno dal momento in cui vengono risuscitati alla vita immortale in cielo. Quelli che hanno la speranza terrena, invece, lo saranno dopo aver superato la prova finale, che avrà luogo subito dopo la fine del Regno millenario di Cristo (1Co 15:52, 53; Ri 20:5, 7-10).

Figlio dell’uomo O “Figlio di un essere umano”. Questa espressione ricorre un’ottantina di volte nei Vangeli. Gesù la usò in riferimento a sé stesso. Evidentemente voleva sottolineare il fatto che era davvero un essere umano, nato da una donna, e che era il giusto equivalente di Adamo, nella condizione quindi di riscattare l’umanità dal peccato e dalla morte (Ro 5:12, 14, 15). L’espressione indicava inoltre che Gesù era il Messia, o il Cristo (Da 7:13, 14; vedi Glossario).

Figlio dell’uomo Vedi approfondimento a Mt 8:20.

tombe commemorative Questa espressione traduce il termine greco mnemèion, che deriva dal verbo mimnèskomai (“ricordarsi”, “rammentarsi”) e che indica una tomba o un sepolcro. Quindi mnemèion implica l’idea di preservare il ricordo del defunto. In questo contesto suggerisce che la persona deceduta viene ricordata da Dio. Questa sfumatura rende più significativo il termine usato da Luca nel riportare la supplica del criminale messo al palo accanto a Gesù: “Ricordati [verbo mimnèskomai] di me quando sarai entrato nel tuo Regno” (Lu 23:42).

per lui sono tutti vivi O “dal suo punto di vista sono tutti vivi”. La Bibbia mostra che chi è vivo ma è lontano da Dio è come morto ai suoi occhi (Ef 2:1; 1Tm 5:6). D’altra parte, coloro che muoiono avendo l’approvazione di Geova sono ancora vivi dal suo punto di vista, dato che il suo proposito di risuscitarli non mancherà di adempiersi (Ro 4:16, 17).

i cui nomi sono nel libro della vita Questo simbolico libro di memorie è un’amorevole garanzia che le persone fedeli sono nella perfetta memoria di Dio e che lui le ricompenserà con la vita eterna, in cielo o sulla terra (Ri 3:5; 20:15). Questa espressione riecheggia alcuni passi delle Scritture Ebraiche dai quali si capisce che il nome di coloro che sono fedeli è scritto nel libro della vita, ma con riserva: se vogliono che vi rimanga scritto per ricevere così la ricompensa promessa, devono infatti continuare a essere fedeli e ubbidienti (Eso 32:32, 33; Sl 69:28, nt.; Mal 3:16). Paolo ha appena menzionato due zelanti sorelle unte della congregazione di Filippi, Evodia e Sintiche, che hanno avuto un qualche tipo di contrasto. Eppure le annovera tra i compagni d’opera i cui nomi sono scritti in questo simbolico libro; non conclude che i loro piccoli difetti ed errori possano privarle della ricompensa, che è invece sicura se rimangono fedeli fino alla fine. (Confronta 2Tm 2:11, 12.) Il richiamo a dei nomi scritti in un libro può aver fatto venire in mente ai cristiani di Filippi, che era una colonia romana, il registro pubblico in cui erano riportati i nomi di coloro che avevano la cittadinanza.

giudizio Il termine greco krìsis, qui reso “giudizio”, può trasmettere varie sfumature di significato. È il contesto a chiarirne il senso. Ad esempio, krìsis può denotare l’atto di valutare o giudicare oppure il processo di valutazione o giudizio (Gv 5:22, 27, 29 e approfondimento), come pure la qualità della giustizia (Mt 23:23; Lu 11:42) o un tribunale (Mt 5:21). Può anche riferirsi a un giudizio favorevole o sfavorevole, ma nella maggioranza delle occorrenze delle Scritture Greche Cristiane trasmette l’idea di condanna. In questo versetto “giudizio” è messo in parallelo con morte ed è in contrasto con vita e vita eterna; si riferisce quindi a un giudizio che determina la perdita della vita (2Pt 2:9; 3:7).

risurrezione Vedi approfondimento a Mt 22:23.

risurrezione di vita A ricevere una “risurrezione di vita” sono coloro che prima di morire “hanno fatto cose buone”. Prima ancora che vengano risuscitati, quello che Dio ha in mente di realizzare per i suoi fedeli servitori è così sicuro che di loro si dice che “per lui sono tutti vivi” e che i loro nomi sono già nel “rotolo [o “libro”] della vita”, la cui stesura è iniziata alla “fondazione del mondo” (Lu 20:38 e approfondimento; Ri 17:8; vedi anche Flp 4:3 e approfondimento). Questi coincidono evidentemente con i “giusti” menzionati in At 24:15, che verranno risuscitati. In base a Ro 6:7, “chi è morto è stato assolto dal suo peccato”. I peccati commessi dai giusti sono stati cancellati alla loro morte, ma la loro condotta fedele non è stata cancellata (Eb 6:10). Ovviamente, perché il loro nome rimanga scritto nel “rotolo [o “libro”] della vita” e possano infine ricevere la “vita eterna”, i giusti, una volta risuscitati, dovranno rimanere fedeli (Ri 20:12; Gv 3:36).

risurrezione di giudizio Quelli che prima di morire “hanno praticato cose ignobili” riceveranno una “risurrezione di giudizio”. Il termine greco qui reso “giudizio” (krìsis) può avere diverse sfumature di significato, a seconda del contesto. (Vedi approfondimento a Gv 5:24.) In questo versetto sembra descrivere un processo di valutazione o, come dice un lessico greco, un’“indagine sul comportamento di qualcuno”. Quelli che riceveranno una “risurrezione di giudizio” coincidono evidentemente con gli “ingiusti” menzionati in At 24:15. Questi ingiusti verranno giudicati sulla base del comportamento che terranno durante il Regno di Cristo e di coloro che saranno giudici con lui (Lu 22:30; Ro 6:7). Durante questo periodo di valutazione, “ognuno di loro [sarà] giudicato secondo le sue opere” (Ri 20:12, 13). Solo coloro che rinnegheranno il loro precedente modo di vivere ingiusto avranno il proprio nome scritto nel “libro della vita” e riceveranno la “vita eterna” (Ri 20:15; Gv 3:36).

risurrezione Il termine greco anàstasis significa letteralmente “il far alzare”, “l’alzarsi”. È utilizzato circa 40 volte nelle Scritture Greche Cristiane in riferimento alla risurrezione dei morti (Mt 22:31; At 4:2; 24:15; 1Co 15:12, 13). Nella Settanta, Isa 26:19 riporta il verbo affine ad anàstasis come traduzione del verbo ebraico per “vivere” nell’espressione “i tuoi morti vivranno”. (Vedi Glossario.)

di mia iniziativa O “per conto mio”, cioè in modo indipendente. Lett. “da me stesso”. Quale principale rappresentante di Geova Dio, Gesù ascolta sempre la sua voce e proferisce quello che lui ordina.

Proprio come odo In riferimento a ciò che ode dal Padre quale Giudice Supremo.

un altro Senza dubbio in riferimento al Padre (Gv 5:34, 37).

le Scritture Questa espressione è spesso usata in riferimento agli ispirati scritti ebraici nel loro insieme. Gli ebrei che esaminavano attentamente le Scritture avrebbero potuto capire facilmente che Gesù era il Messia confrontando la sua vita e i suoi insegnamenti con quello che predicevano le Scritture. Ma quegli ebrei si rifiutarono di fare un esame sincero delle tante prove scritturali che dimostravano che Gesù era il Messia promesso. Anche se pensavano di poter avere la vita eterna tramite le Scritture, si rifiutarono di accettare che, proprio come indicato dalle Scritture, Gesù era l’unico mezzo per avere la vita (De 18:15; Lu 11:52; Gv 7:47, 48).

queste Cioè le Scritture menzionate nella prima parte del versetto. Queste Scritture contenevano profezie messianiche secondo le quali Gesù era colui che avrebbe potuto dare la “vita eterna” a chi lo avesse ascoltato.

dal solo Dio In alcuni manoscritti antichi è presente una lezione che omette la parola “Dio” e che potrebbe quindi essere resa “dall’Unico”. Ma la presenza della parola “Dio” è ben attestata in altri manoscritti antichi e autorevoli.

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Piscina di Betzata
Piscina di Betzata

Il Vangelo di Giovanni è l’unico a menzionare una piscina chiamata Betzata, che si trovava a Gerusalemme, “presso la Porta delle Pecore” (Gv 5:2). Questa porta coincide probabilmente con la Porta delle Pecore menzionata nelle Scritture Ebraiche, che era ubicata all’estremità nord-orientale della città (Ne 3:1, 32; 12:39). Un’altra possibilità è che la “Porta delle Pecore” menzionata da Giovanni sia stata costruita in epoca più tarda rispetto a quella menzionata nelle Scritture Ebraiche. A N del monte del tempio, sono stati scoperti i resti di una grande piscina che sembra corrispondere a quella descritta da Giovanni. Gli scavi archeologici hanno portato alla luce una piscina a due vasche, che misurava complessivamente circa 46 × 92 m. Nel Vangelo si legge che la piscina aveva “cinque portici” e che lì poteva riunirsi “un gran numero” di malati e disabili (Gv 5:2, 3). Probabilmente uno dei cinque portici separava la vasca a N da quella a S, mentre gli altri quattro definivano il perimetro esterno della piscina.

1. Betzata

2. Monte del tempio