Prima lettera ai Corinti 15:1-58

15  Ora, fratelli, vi ricordo la buona notizia che vi ho annunciato+ e che voi avete accettato, e in favore della quale avete preso posizione.  Per mezzo di questa buona notizia che vi ho annunciato siete anche salvati,+ a condizione che vi atteniate saldamente a essa; altrimenti sareste diventati credenti inutilmente.  Fra le prime cose che vi ho trasmesso c’è quello che anch’io ho ricevuto: Cristo è morto per i nostri peccati secondo le Scritture;+  è stato sepolto+ ed è stato risuscitato+ il terzo giorno+ secondo le Scritture;+  ed è apparso a Cefa+ e poi ai Dodici.+  In seguito è apparso a più di 500 fratelli in una sola volta;+ anche se alcuni si sono addormentati nella morte, la maggior parte di loro è ancora in vita.  Successivamente è apparso a Giacomo,+ e poi a tutti gli apostoli.+  Infine è apparso anche a me,+ ultimo di tutti, come a uno nato prematuramente.  Io infatti sono il minimo degli apostoli+ e non sono degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la congregazione di Dio.+ 10  Ma grazie all’immeritata bontà di Dio sono quello che sono;+ e la sua immeritata bontà nei miei confronti non è stata inutile, anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma l’immeritata bontà di Dio che è con me.+ 11  Pertanto, che sia io a farlo o che siano loro, è così che noi predichiamo, ed è così che voi avete creduto. 12  Ora, se si predica che Cristo è stato risuscitato dai morti,+ come mai alcuni di voi dicono che non c’è risurrezione dei morti?+ 13  Se non c’è risurrezione dei morti, allora nemmeno Cristo è stato risuscitato. 14  Ma se Cristo non è stato risuscitato, la nostra predicazione è senza dubbio inutile, e lo è anche la nostra fede. 15  Per di più ci troviamo a essere falsi testimoni di Dio,+ perché abbiamo testimoniato contro di lui dicendo che ha risuscitato il Cristo+ quando in realtà non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non vengono risuscitati. 16  Se infatti i morti non vengono risuscitati, nemmeno Cristo è stato risuscitato. 17  E se Cristo non è stato risuscitato, la vostra fede è senza valore e voi rimanete nei vostri peccati.+ 18  Così anche quelli che si sono addormentati nella morte uniti a Cristo sono perduti.+ 19  Se abbiamo sperato in Cristo solo per questa vita, siamo i più miserevoli di tutti gli uomini. 20  Ma ora Cristo è stato risuscitato dai morti, primizia di quelli che si sono addormentati nella morte.+ 21  Infatti, dato che la morte è venuta per mezzo di un uomo,+ anche la risurrezione dei morti viene per mezzo di un uomo;+ 22  e come in Adamo tutti muoiono,+ così nel Cristo tutti riceveranno la vita.+ 23  Ma ciascuno nell’ordine dovuto: Cristo la primizia,+ dopodiché quelli che appartengono al Cristo, durante la sua presenza.+ 24  Poi la fine, quando lui consegnerà il Regno al suo Dio e Padre dopo aver ridotto a nulla ogni governo e ogni autorità e potenza.+ 25  Infatti deve regnare finché Dio non avrà messo tutti i nemici sotto i suoi piedi;+ 26  e l’ultimo nemico a essere ridotto a nulla sarà la morte.+ 27  Dio infatti “ha posto ogni cosa sotto i suoi piedi”.+ Ma quando viene detto che ogni cosa gli è stata sottoposta,+ chiaramente è escluso colui che gli ha sottoposto ogni cosa.+ 28  E quando ogni cosa gli sarà stata sottoposta, allora anche il Figlio stesso si sottoporrà a colui che gli ha sottoposto ogni cosa,+ affinché Dio sia ogni cosa a tutti.+ 29  Altrimenti, cosa faranno quelli che si battezzano per essere morti?+ Se davvero i morti non vengono risuscitati, perché allora si battezzano per essere tali? 30  E perché anche noi siamo continuamente* in pericolo?+ 31  Ogni giorno affronto la morte, com’è vero che voi, fratelli, siete il mio motivo di vanto in Cristo Gesù nostro Signore. 32  Se, come altri uomini,* ho combattuto a Efeso+ con le bestie feroci, cosa ne ricavo? Se i morti non vengono risuscitati, “mangiamo e beviamo, perché domani moriremo”.+ 33  Non fatevi ingannare: le cattive compagnie corrompono le buone abitudini.+ 34  Tornate in voi, facendo ciò che è giusto, e non praticate il peccato,+ perché alcuni non hanno conoscenza di Dio. Lo dico per farvi vergognare. 35  Tuttavia qualcuno chiederà: “Come saranno risuscitati i morti? E con quale corpo verranno?”+ 36  Stolto! Ciò che semini non prende vita se prima non muore.+ 37  E quanto a ciò che semini, non semini il corpo che nascerà, ma un semplice granello, che sia un chicco di grano o un seme di altro genere; 38  e Dio gli dà un corpo come ha deciso, e dà a ciascun seme il suo corpo. 39  Non ogni carne è uguale: c’è quella degli uomini, quella delle bestie, quella degli uccelli e quella dei pesci. 40  Ci sono corpi celesti+ e corpi terrestri,+ ma uno è lo splendore dei corpi celesti, un altro è quello dei corpi terrestri. 41  Uno è lo splendore del sole, un altro è lo splendore della luna,+ un altro ancora è lo splendore delle stelle; e lo splendore di una stella è diverso da quello di un’altra. 42  Lo stesso vale per la risurrezione dei morti: è seminato nella corruzione, è risuscitato nell’incorruzione;+ 43  è seminato nel disonore, è risuscitato nella gloria;+ è seminato nella debolezza, è risuscitato nella potenza;+ 44  è seminato corpo fisico, è risuscitato corpo spirituale.+ Se c’è un corpo fisico, ce n’è anche uno spirituale. 45  Così è scritto: “Il primo uomo, Adamo, diventò un essere vivente”.+ L’ultimo Adamo diventò uno spirito che dà vita.+ 46  Tuttavia non è ciò che è spirituale che viene prima; prima viene ciò che è fisico, poi ciò che è spirituale. 47  Il primo uomo viene dalla terra ed è fatto dalla polvere;+ il secondo uomo viene dal cielo.+ 48  Com’è quello fatto dalla polvere, così sono anche quelli fatti dalla polvere; e com’è il celeste, così sono anche i celesti.+ 49  E come abbiamo avuto l’aspetto di quello fatto dalla polvere,+ così avremo anche l’aspetto del celeste.+ 50  Fratelli, vi dico questo: carne e sangue non possono ereditare il Regno di Dio, né la corruzione eredita l’incorruzione. 51  Ecco, vi dico un sacro segreto: non tutti ci addormenteremo nella morte, ma tutti saremo trasformati+ 52  in un istante, in un batter d’occhio, durante l’ultima tromba.* La tromba suonerà+ e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati.+ 53  Infatti questo che è corruttibile deve rivestire l’incorruzione,+ e questo che è mortale deve rivestire l’immortalità.+ 54  Ma quando questo che è corruttibile avrà rivestito l’incorruzione e questo che è mortale avrà rivestito l’immortalità, allora si adempiranno le parole che furono scritte: “La morte è eliminata per sempre”.+ 55  “Morte, dov’è la tua vittoria? Morte, dov’è il tuo pungiglione?”+ 56  Il pungiglione che dà la morte è il peccato,+ e la forza del peccato è la Legge.+ 57  Ma sia ringraziato Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo!+ 58  Quindi, miei cari fratelli, siate saldi,+ irremovibili, e abbiate sempre molto da fare+ nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica nel Signore non è inutile.*+

Note in calce

Lett. “ogni ora”.
O forse “da un punto di vista umano” o “per ragioni umane”.
O “all’ultima tromba”, “al suono dell’ultima tromba”.
Lett. “vuota”.

Approfondimenti

mangiamo e beviamo, perché domani moriremo Qui Paolo cita Isa 22:13, dov’è riassunto l’atteggiamento dei disubbidienti abitanti di Gerusalemme, i quali, di fronte alla distruzione incombente, invece di pentirsi si erano dati a una vita di piaceri. È possibile che Paolo abbia citato queste parole perché rispecchiavano bene il pensiero di chi negava la risurrezione. Tra coloro che non credevano nella risurrezione c’erano ad esempio gli epicurei, i quali si concentravano sul godimento del presente. Ma come sottolinea Paolo la risurrezione è una realtà, pertanto questa speranza fornisce ai cristiani non solo validi motivi ma anche la forza necessaria per continuare a fare sacrifici (1Co 15:58).

alcuni di voi dicono che non c’è risurrezione dei morti Se quello che dicevano fosse stato vero, chi era morto con la speranza di tornare a vivere sulla terra sarebbe rimasto nella Tomba per sempre (Mt 22:31, 32; Gv 11:23, 24; vedi approfondimento a 1Co 15:2). Inoltre i cristiani unti non sarebbero potuti andare in cielo, perché per andarci dovevano, una volta morti, essere risuscitati con un corpo spirituale (1Co 15:35-38; vedi approfondimenti a 1Co 15:36, 38). Paolo afferma che se la risurrezione non fosse una realtà la fede cristiana sarebbe inutile, senza alcuno scopo (1Co 15:13, 14). Quindi difende fermamente la speranza della risurrezione, concentrandosi qui sulla speranza dei cristiani unti.

a condizione che vi atteniate saldamente a essa A Corinto la risurrezione, uno degli “insegnamenti basilari” del cristianesimo, veniva contestata (Eb 6:1, 2). Alcuni sostenevano che non ci fosse alcuna risurrezione (1Co 15:12). Paolo richiamò l’attenzione su coloro che dicevano: “Mangiamo e beviamo, perché domani moriremo” (1Co 15:32). Probabilmente stava citando Isa 22:13, ma le parole che usò rispecchiavano bene il pensiero di chi era influenzato da filosofi greci come Epicuro, che negavano che ci fosse vita dopo la morte (At 17:32; vedi approfondimento a 1Co 15:32). È anche possibile che alcuni componenti della congregazione di retaggio ebraico avessero subìto l’influenza delle dottrine dei sadducei, che negavano la risurrezione (Mr 12:18). Oppure alcuni forse pensavano che i cristiani in vita avessero già avuto qualche sorta di risurrezione spirituale (2Tm 2:16-18). Se i corinti non si fossero attenuti saldamente alla buona notizia, sarebbero diventati credenti inutilmente, ovvero la loro speranza non si sarebbe realizzata. (Vedi approfondimento a 1Co 15:12.)

Cefa Uno dei nomi dell’apostolo Simon Pietro. Quando lo incontrò la prima volta, Gesù gli diede il nome semitico Cefa (in greco Kefàs). Questo nome potrebbe essere affine all’ebraico kefìm (“rocce”) usato in Gb 30:6 e Ger 4:29. In Gv 1:42 Giovanni spiega che Cefa “si traduce ‘Pietro’” (Pètros, nome greco dal significato simile [“frammento di roccia”]). Il nome Cefa compare solo in Gv 1:42 e in due lettere di Paolo, 1 Corinti e Galati (1Co 1:12; 3:22; 9:5; 15:5; Gal 1:18; 2:9, 11, 14; vedi approfondimenti a Mt 10:2; Gv 1:42).

e a Pietro Marco è l’unico evangelista a specificare che l’angelo menzionò espressamente Pietro per nome. (Confronta il passo parallelo di Mt 28:7.) In Gv 20:2 si legge che Maria Maddalena andò “da Simon Pietro e dall’altro discepolo”, cioè Giovanni, per portare loro il messaggio. Qualche tempo prima di apparire ai discepoli riuniti insieme, a quanto pare Gesù apparve a Pietro mentre questi era solo (Lu 24:34; 1Co 15:5). Senza dubbio questa attenzione particolare e la specifica menzione del suo nome da parte dell’angelo rassicurarono Pietro che era stato perdonato per il fatto di aver negato tre volte qualunque legame con il suo amico (Mt 26:73-75).

a Cefa Cefa è un altro nome di Pietro. (Vedi approfondimento a 1Co 1:12.) Prima di apparire ai discepoli riuniti insieme, Gesù apparve a Pietro, a quanto pare mentre questi era solo (Lu 24:34). Quella visita personale dev’essere stata di grande conforto per Pietro: senza dubbio ricevette la guida di cui aveva bisogno e fu rassicurato del fatto che era stato perdonato per aver rinnegato Gesù tre volte. (Vedi approfondimento a Mr 16:7.)

ai Dodici L’apparizione “ai Dodici” menzionata qui sembra essere la stessa descritta in Gv 20:26-29, a cui assisté Tommaso. Se così fosse, qui l’espressione designerebbe gli apostoli come gruppo, anche se ne mancavano uno o due (Gv 20:24; At 6:1-6). Questa apparizione di certo li aiutò a vincere i loro timori e a testimoniare con coraggio la risurrezione di Gesù.

andarono in Galilea A questo incontro in Galilea furono presenti a quanto pare più di 500 persone (1Co 15:6).

si addormentò nella morte Nelle Scritture i verbi “dormire” e “addormentarsi” si riferiscono sia al sonno vero e proprio (Mt 28:13; Lu 22:45; Gv 11:12; At 12:6) che al sonno della morte (Gv 11:11; At 7:60; 13:36; 1Co 7:39; 15:6, 51; 2Pt 3:4). Quando vengono usati in contesti che si riferiscono alla morte, i traduttori della Bibbia spesso usano espressioni come “addormentarsi nella morte” o semplicemente “morire” per evitare fraintendimenti da parte del lettore. Quando nelle Scritture è usato in senso metaforico, il verbo “addormentarsi” si riferisce a coloro che muoiono a motivo della morte ereditata da Adamo. (Vedi approfondimenti a Mr 5:39; Gv 11:11.)

è apparso a più di 500 fratelli in una sola volta Dato che la maggior parte dei discepoli si trovava in Galilea, forse è nella circostanza descritta in Mt 28:16-20 che, dopo la sua risurrezione, Gesù apparve a “più di 500 fratelli”. (Vedi approfondimento a Mt 28:16.) A quanto pare fra questi c’erano le donne alle quali un angelo aveva detto che Gesù era stato risuscitato e sarebbe apparso loro in Galilea (Mt 28:7). La maggioranza di coloro che furono presenti in quell’occasione era ancora in vita quando nel 55 Paolo scrisse ai corinti questa prima lettera ispirata. Quindi Paolo stava dicendo a chi dubitava della risurrezione di Gesù che c’erano testimoni oculari ancora in vita i quali potevano confermare che quel miracolo era un dato di fatto.

si sono addormentati nella morte Vedi approfondimento ad At 7:60.

a Giacomo Probabilmente il Giacomo menzionato qui è il figlio di Giuseppe (padre adottivo di Gesù) e di Maria (madre naturale di Gesù). Prima della risurrezione di Gesù, a quanto pare Giacomo non era un credente (Gv 7:5). È probabile che qui Paolo si riferisca a un’apparizione che Gesù fece personalmente a Giacomo, grazie alla quale sembra che Giacomo si fosse convinto che il fratello maggiore era veramente il Messia. Giacomo diventò credente e forse ebbe un ruolo nel convertire gli altri suoi fratelli (At 1:13, 14).

come a uno nato prematuramente Il termine greco reso “uno nato prematuramente” può riferirsi a un bambino la cui nascita avviene all’improvviso, in modo traumatico e al momento sbagliato. Paolo lo usa metaforicamente in riferimento a ciò che accadde alla sua conversione, quando sulla via di Damasco gli apparve Cristo risorto. Nello specifico, però, il senso può essere più di uno. Forse Paolo intendeva dire che la sua conversione, durante la quale perse temporaneamente la vista, fu inaspettata e traumatica, sia per lui che per altri (At 9:3-9, 17-19). Oppure intendeva dire che, rispetto a quelli menzionati nei versetti precedenti, lui era metaforicamente nato come cristiano (o si era convertito) al momento sbagliato, ovvero quando Gesù era già tornato in cielo. Un’altra possibilità è che stesse parlando di sé con modestia, ammettendo di non meritare il privilegio che gli era stato concesso; questo sarebbe in armonia con ciò che dice in 1Co 15:9, 10. Qualunque cosa avesse in mente, non c’è dubbio che considerava preziosa quell’esperienza che gli aveva permesso di vedere Gesù risorto. Per lui infatti fu una prova schiacciante del fatto che Gesù era stato risuscitato (At 22:6-11; 26:13-18).

grazie all’immeritata bontà di Dio sono quello che sono Qui Paolo riconosce umilmente che non può attribuirsi il merito dei risultati che ha ottenuto nel servire Geova. Mette in risalto questo punto menzionando tre volte in questo versetto l’“immeritata bontà” di Dio. (Vedi Glossario, “immeritata bontà”.) L’enfasi che Paolo dà all’immeritata bontà permette di leggere nella giusta chiave la sua affermazione: ho faticato più di tutti loro (cioè più degli altri apostoli). Paolo era grato che Dio nella sua misericordia avesse scelto lui, un ex persecutore dei cristiani, perché diventasse un apostolo (1Tm 1:12-16). E dimostrò questa gratitudine faticando strenuamente per svolgere il suo incarico. Coprì lunghe distanze per mare e per terra diffondendo la buona notizia e fondando numerose congregazioni. Il suo ministero comportò scrivere 14 lettere ispirate che diventarono parte delle Scritture Greche Cristiane. Geova inoltre lo benedisse dandogli il dono di parlare in altre lingue, facendogli avere delle visioni e concedendogli la capacità di compiere altri miracoli, inclusa una risurrezione (At 20:7-10; 1Co 14:18; 2Co 12:1-5). Paolo considerava il suo servizio e tutte queste benedizioni un’espressione dell’immeritata bontà di Geova.

a condizione che vi atteniate saldamente a essa A Corinto la risurrezione, uno degli “insegnamenti basilari” del cristianesimo, veniva contestata (Eb 6:1, 2). Alcuni sostenevano che non ci fosse alcuna risurrezione (1Co 15:12). Paolo richiamò l’attenzione su coloro che dicevano: “Mangiamo e beviamo, perché domani moriremo” (1Co 15:32). Probabilmente stava citando Isa 22:13, ma le parole che usò rispecchiavano bene il pensiero di chi era influenzato da filosofi greci come Epicuro, che negavano che ci fosse vita dopo la morte (At 17:32; vedi approfondimento a 1Co 15:32). È anche possibile che alcuni componenti della congregazione di retaggio ebraico avessero subìto l’influenza delle dottrine dei sadducei, che negavano la risurrezione (Mr 12:18). Oppure alcuni forse pensavano che i cristiani in vita avessero già avuto qualche sorta di risurrezione spirituale (2Tm 2:16-18). Se i corinti non si fossero attenuti saldamente alla buona notizia, sarebbero diventati credenti inutilmente, ovvero la loro speranza non si sarebbe realizzata. (Vedi approfondimento a 1Co 15:12.)

se prima non muore Nel parlare della risurrezione dei cristiani unti alla vita spirituale, Paolo paragona la sepoltura del corpo fisico alla semina di un seme. Il seme “muore” nel senso che, quando viene piantato, si disintegra. La pianta che ne deriva ha forma e aspetto completamente diversi dal seme. (Confronta Gv 12:24.) Allo stesso modo un cristiano che è stato scelto da Dio perché sia coerede di suo Figlio e riceva l’incorruzione e l’immortalità in cielo deve prima morire. In 1Co 15:42-44 la metafora dell’essere seminati ricorre quattro volte. Paolo la usa per descrivere il fatto che con la risurrezione un cristiano unto, al posto di un corpo fisico, ottiene un corpo spirituale. (Vedi approfondimento a 1Co 15:38.)

Dio gli dà un corpo Qui Paolo prosegue la metafora con cui paragona la risurrezione dei cristiani unti alla germinazione di un seme. (Vedi approfondimento a 1Co 15:36.) Usa l’esempio di un piccolo seme di grano che non somiglia per niente alla pianta che nascerà da esso. Il seme “muore” in quanto seme e diventa una pianta che germoglia (1Co 15:36, 37). In modo simile i cristiani unti devono prima morire quali esseri umani. Poi Dio, al tempo da lui stabilito, li riporta in vita con un corpo completamente nuovo (2Co 5:1, 2; Flp 3:20, 21). Gli unti vengono risuscitati con corpi spirituali per vivere nel mondo spirituale (1Co 15:44; 1Gv 3:2).

risurrezione Il termine greco anàstasis significa letteralmente “il far alzare”, “l’alzarsi”. È utilizzato circa 40 volte nelle Scritture Greche Cristiane in riferimento alla risurrezione dei morti (Mt 22:31; At 4:2; 24:15; 1Co 15:12, 13). Nella Settanta, Isa 26:19 riporta il verbo affine ad anàstasis come traduzione del verbo ebraico per “vivere” nell’espressione “i tuoi morti vivranno”. (Vedi Glossario.)

alcuni di voi dicono che non c’è risurrezione dei morti Se quello che dicevano fosse stato vero, chi era morto con la speranza di tornare a vivere sulla terra sarebbe rimasto nella Tomba per sempre (Mt 22:31, 32; Gv 11:23, 24; vedi approfondimento a 1Co 15:2). Inoltre i cristiani unti non sarebbero potuti andare in cielo, perché per andarci dovevano, una volta morti, essere risuscitati con un corpo spirituale (1Co 15:35-38; vedi approfondimenti a 1Co 15:36, 38). Paolo afferma che se la risurrezione non fosse una realtà la fede cristiana sarebbe inutile, senza alcuno scopo (1Co 15:13, 14). Quindi difende fermamente la speranza della risurrezione, concentrandosi qui sulla speranza dei cristiani unti.

risurrezione Vedi approfondimento a Mt 22:23.

se Cristo non è stato risuscitato La speranza della risurrezione fa parte del fondamento della fede cristiana, è uno degli “insegnamenti basilari” (Eb 6:1, 2). Se Gesù non fosse stato risuscitato, non avrebbe potuto adempiere un aspetto molto importante del suo ruolo di Sommo Sacerdote, quello di presentare a Geova in cielo il valore del suo sacrificio di riscatto (Eb 9:24). La risurrezione di Cristo inoltre è strettamente collegata ad altri insegnamenti biblici basilari, inclusi quelli relativi alla sovranità di Dio, al Suo nome, al Suo Regno e alla salvezza degli esseri umani (Sl 83:18; Mt 6:9, 10; Eb 5:8, 9).

Per di più ci troviamo a essere falsi testimoni di Dio Qui Paolo evidenzia un ulteriore risvolto del negare la risurrezione. Se quell’insegnamento fosse stato falso, allora Paolo e i suoi compagni d’opera avrebbero mentito non solo riguardo alla risurrezione di Gesù ma anche riguardo a colui al quale attribuivano quel miracolo, ovvero Geova Dio.

voi rimanete nei vostri peccati Negare la risurrezione avrebbe avuto un altro risvolto. Se Cristo non fosse stato risuscitato, a Dio non sarebbe stato pagato nessun riscatto. E se a Dio non fosse stato pagato nessun riscatto, gli esseri umani imperfetti sarebbero rimasti nei loro peccati, senza alcuna speranza di redenzione o salvezza (Ro 3:23, 24; 1Co 15:3; Eb 9:11-14).

sono perduti Se la speranza della risurrezione fosse stata una menzogna, allora i cristiani che erano morti sarebbero stati “perduti” per sempre, senza alcuna possibilità di tornare in vita. Quei cristiani, che in alcuni casi avevano subìto il martirio, sarebbero stati degli illusi che erano morti nella speranza di essere risuscitati.

siamo i più miserevoli di tutti gli uomini L’apostolo Paolo e altri cristiani avevano subìto delle perdite, sopportato la persecuzione, vissuto molte difficoltà e affrontato la morte perché credevano nella risurrezione. Se la speranza della risurrezione non avesse avuto alcun fondamento, i cristiani sarebbero stati “i più miserevoli di tutti”. Queste parole di Paolo si trovano alla fine di una serie di risvolti negativi che si sarebbero avuti se Cristo non fosse stato risuscitato (1Co 15:13-19). È chiaro però che per Paolo tutti questi erano risvolti impossibili, perché al v. 20 continua: “Ma ora Cristo è stato risuscitato dai morti”.

primizia di quelli che si sono addormentati nella morte Gesù fu risuscitato il 16 nisan del 33, giorno in cui il sommo sacerdote presentava a Geova alcune primizie del primo raccolto di cereali. Il sommo sacerdote agitava le primizie della mietitura dell’orzo, cioè quella che si poteva definire la prima delle primizie della terra (Le 23:6-14). Quel covone prefigurava Gesù Cristo risuscitato, il primo a essere destato dai morti alla vita eterna in cielo. Chiamare Gesù la “primizia” implicava che ci sarebbe stata un’ulteriore raccolta di persone che sarebbero state risuscitate alla vita celeste (1Co 15:23).

primizia Vedi Glossario, “primizie”.

presenza Qui Paolo usa il termine greco parousìa in riferimento a tre suoi compagni d’opera che erano fisicamente con lui. Il termine ricorre con un significato simile altre cinque volte nelle Scritture Greche Cristiane (2Co 7:6, 7; 10:10; Flp 1:26; 2:12). In altre circostanze è usato in relazione alla presenza invisibile di Gesù Cristo (Mt 24:3; 1Co 15:23). Che una parousìa, o “presenza”, possa essere invisibile è indicato dallo storico ebreo Giuseppe Flavio. Scrivendo in greco, Giuseppe Flavio parla della parousìa di Dio al monte Sinai; quella fu una presenza invisibile resa evidente dai tuoni e dai lampi (Antichità giudaiche, III, 80 [v, 2]). Paolo usa un verbo affine (pàreimi) che significa “essere presente”, “esserci”, quando dice di essere “presente in spirito” ma “assente con il corpo” (1Co 5:3). Anche se molte traduzioni rendono parousìa con “arrivo” o “venuta”, la resa “presenza” è confermata dall’uso che ne fa Paolo in Flp 2:12. Lì utilizza parousìa in riferimento al periodo in cui era “presente”, in contrapposizione al periodo in cui era “lontano”, o assente. (Vedi approfondimento a 1Co 15:23.)

durante la sua presenza Il termine originale reso “presenza” (parousìa) compare per la prima volta in Mt 24:3, dove alcuni discepoli chiedono a Gesù informazioni sul “segno della [sua] presenza”. Si riferisce alla presenza regale di Gesù Cristo, che comincia con la sua invisibile intronizzazione quale Re messianico all’inizio degli ultimi giorni di questo sistema di cose. Anche se in molte traduzioni bibliche è reso “venuta”, il termine parousìa letteralmente significa “l’essere presso”, “l’esserci”. La presenza di Gesù copre un periodo di tempo, non si riferisce semplicemente al momento della sua “venuta”, al suo arrivo. Questo significato di parousìa emerge da Mt 24:37-39, dove la “presenza del Figlio dell’uomo” è paragonata ai “giorni di Noè [...] prima del diluvio”. Inoltre il termine parousìa è usato in Flp 2:12, dove Paolo contrappone il periodo in cui era “presente” al periodo in cui era “lontano”, o assente. (Vedi approfondimento a 1Co 16:17.) Quindi qui in 1Co 15:23 Paolo sta spiegando che la risurrezione in cielo di quelli che appartengono al Cristo, cioè gli unti fratelli coeredi di Cristo, sarebbe avvenuta qualche tempo dopo la sua intronizzazione come Re celeste del Regno di Dio.

fine O “fine totale”. Mentre in Mt 24:3 è presente il termine greco syntèleia (“conclusione”), qui compare il termine tèlos. (Vedi approfondimento a Mt 24:3 e Glossario, “conclusione del sistema di cose”.)

la fine O “il compimento”. (Vedi approfondimento a Mt 24:6.) La “fine” (in greco tèlos) menzionata qui è evidentemente la fine del Regno millenario (Ri 20:4), il momento in cui Gesù umilmente e lealmente “consegnerà il Regno al suo Dio e Padre”. A quel punto il Regno millenario di Cristo avrà portato a compimento il suo scopo. Non ci sarà più bisogno di questo governo ausiliario tra Geova e l’umanità. E dato che il peccato e la morte ereditati da Adamo saranno stati completamente eliminati e l’umanità sarà stata redenta, verrà meno anche la necessità del ruolo di Redentore svolto da Gesù (1Co 15:26, 28).

ridotto a nulla O “distrutto”. Lett. “reso inefficace”. Qui Paolo parla della fine della morte adamica e delle sue conseguenze. Una delle cose fondamentali perché la morte sia ridotta a nulla è che i morti vengano riportati in vita con la risurrezione (Gv 5:28), insegnamento che in questo contesto Paolo difende energicamente. Comunque, perché la morte sia annullata del tutto, è anche necessario che venga eliminata ogni traccia del peccato adamico. Per questo Paolo continua spiegando che il sacrificio di riscatto di Gesù Cristo eliminerà il peccato, “il pungiglione che dà la morte”. In virtù della risurrezione e del riscatto, Dio distruggerà la morte, la renderà inefficace. Paolo infatti dice: “La morte è eliminata [lett. “inghiottita”] per sempre” (1Co 15:54-57).

anche il Figlio stesso si sottoporrà Il Figlio, Cristo Gesù, cederà umilmente il Regno al Padre, Geova, e si sottometterà alla sua suprema sovranità. Non c’è gesto che possa rappresentare un tributo più grande alla legittimità del dominio di Geova. In questo modo Cristo dimostrerà anche che, alla fine del suo Regno millenario e dopo tutti i risultati conseguiti, è ancora umile come quando venne sulla terra come uomo (Flp 2:5-11; Eb 13:8).

affinché Dio sia ogni cosa a tutti Quando Cristo gli restituirà il Regno, Geova tornerà di nuovo a governare in modo diretto su tutta la sua creazione. L’umanità perfetta non avrà più bisogno di un governo ausiliario, il Regno messianico, che rimedi ai danni provocati dalla ribellione nell’Eden. Non ci sarà più alcun bisogno di un riscatto, di un mediatore o di un sacerdozio. Essendo suoi figli, gli esseri umani potranno comunicare direttamente con il loro Padre, Geova, e godranno di grande libertà (Ro 8:21). Quanto detto da Paolo sotto ispirazione si riferisce al tempo in cui Gesù “consegnerà il Regno al suo Dio e Padre dopo aver ridotto a nulla ogni governo e ogni autorità e potenza” (1Co 15:24).

essere battezzati con il battesimo con cui io sono battezzato O “essere immersi con l’immersione a cui io sono sottoposto”. Gesù qui mette in parallelo il termine “battesimo” e il termine “calice”. (Vedi approfondimento a Mt 20:22.) Gesù si sta già sottoponendo a questo battesimo durante il suo ministero, dato che al suo battesimo in acqua ha iniziato volontariamente una vita di sacrificio. Verrà completamente battezzato, o immerso, nella morte quando verrà giustiziato sul palo di tortura il 14 nisan del 33. La sua risurrezione completerà questo battesimo (Ro 6:3, 4). Il battesimo di Gesù nella morte è dunque una cosa del tutto distinta e separata dal suo battesimo in acqua, perché Gesù si era completamente sottoposto al battesimo in acqua all’inizio del suo ministero, quando il suo battesimo nella morte era solo cominciato.

siamo stati battezzati in Cristo Gesù Quando Gesù fu battezzato in acqua, Dio lo unse con lo spirito santo, facendo di lui il Cristo, o l’Unto (At 10:38). Quando fu unto, Gesù fu anche generato come figlio di Dio in senso spirituale. (Vedi approfondimento a Mt 3:17.) Dopo che Dio ebbe battezzato Gesù con lo spirito santo, fu possibile anche per i discepoli di Gesù essere battezzati con lo spirito santo (Mt 3:11; At 1:5). Coloro che, come Gesù, diventano figli di Dio generati dallo spirito devono essere “battezzati in Cristo Gesù”, cioè nell’unto Gesù. Quando Geova unge con lo spirito santo i discepoli di Cristo, questi vengono uniti a Gesù e diventano membra del suo corpo, la congregazione, di cui lui è il capo (1Co 12:12, 13, 27; Col 1:18). Questi discepoli di Cristo vengono anche “battezzati nella sua morte”. (Vedi l’approfondimento siamo stati battezzati nella sua morte in questo versetto.)

siamo stati battezzati nella sua morte O “siamo stati immersi nella sua morte”. Il verbo greco che Paolo usa qui (baptìzo) significa “immergere”, “tuffare”. A partire dal suo battesimo in acqua nel 29, Gesù iniziò a sottoporsi a un altro battesimo, la vita di sacrificio di cui parlò in Mr 10:38. (Vedi approfondimento.) Quel battesimo continuò per tutto il suo ministero, e si concluse con la sua morte il 14 nisan del 33 e la sua risurrezione tre giorni dopo. Parlando di quel battesimo, Gesù disse che i suoi discepoli sarebbero stati “battezzati con il battesimo con cui [lui era] battezzato” (Mr 10:39). I cristiani unti con lo spirito, che sono membra del corpo di Cristo, vengono “battezzati nella sua morte” nel senso che iniziano a vivere una vita di sacrificio, rinunciando tra le altre cose alla prospettiva di vivere per sempre sulla terra. Questo battesimo continua per tutta la loro vita, mentre dimostrano la loro integrità nelle prove, e si conclude quando muoiono e vengono risuscitati come creature spirituali (Ro 6:4, 5).

si battezzano per essere morti Nel capitolo 15 di 1 Corinti, Paolo spiega che la risurrezione è una certezza. In questo contesto afferma che i cristiani unti vengono metaforicamente battezzati, o immersi, in un modo di vivere che li porta a morire fedeli come Cristo. Successivamente vengono risuscitati alla vita spirituale, come lo fu Gesù. Questo battesimo comporta difficoltà simili a quelle affrontate da Gesù e spesso porta a una morte simile alla sua (1Co 15:30-34). I cristiani unti fedeli nutrono la speranza di essere risuscitati in cielo. Il battesimo di cui si parla qui in 1Co 15:29, quindi, sembra collegato al battesimo menzionato da Gesù in Mr 10:38 e da Paolo stesso in Ro 6:3. (Vedi approfondimenti a Mr 10:38; Ro 6:3.)

per essere morti Nell’espressione greca compare la preposizione hypèr, che alla lettera significa “sopra” ma che in base al contesto può avere molti altri significati. Invece di “per essere morti”, alcune Bibbie traducono “per i morti” o usano espressioni simili. Rese di questo genere hanno portato alcuni a credere che il versetto si riferisca a una consuetudine del tempo, quella di farsi battezzare al posto o in favore di un defunto. Ma la Bibbia non menziona da nessuna parte un battesimo del genere, né ci sono prove che questa fosse una pratica comune al tempo di Paolo. Inoltre questa interpretazione non sarebbe in armonia con altri versetti dove si legge che i battezzati dell’epoca erano “discepoli” che personalmente “accolsero volentieri” il messaggio di Dio e personalmente “credettero” (Mt 28:19; At 2:41; 8:12).

ho combattuto a Efeso con le bestie feroci Spesso i romani giustiziavano i criminali gettandoli in pasto alle bestie nelle arene. Alcuni studiosi ritengono che questo tipo di condanna non potesse essere inflitta a un cittadino romano, come lo era Paolo, ma ci sono attestazioni storiche relative ad alcuni cittadini romani che furono effettivamente gettati in pasto ad animali feroci o costretti a combatterli. Ciò che Paolo dice in 2Co 1:8-10 potrebbe benissimo descrivere un episodio all’interno di un’arena. Se si trovò ad affrontare delle bestie letterali, probabilmente Paolo riuscì a scampare per intervento divino. (Confronta Da 6:22.) Questa eventuale esperienza sarebbe una delle tante in cui Paolo si trovò “in pericolo di morte” durante il suo ministero (2Co 11:23). Altri studiosi avanzano l’ipotesi che qui Paolo usi l’espressione “bestie feroci” in senso figurato per indicare la feroce opposizione incontrata a Efeso (At 19:23-41).

mangiamo e beviamo, perché domani moriremo Qui Paolo cita Isa 22:13, dov’è riassunto l’atteggiamento dei disubbidienti abitanti di Gerusalemme, i quali, di fronte alla distruzione incombente, invece di pentirsi si erano dati a una vita di piaceri. È possibile che Paolo abbia citato queste parole perché rispecchiavano bene il pensiero di chi negava la risurrezione. Tra coloro che non credevano nella risurrezione c’erano ad esempio gli epicurei, i quali si concentravano sul godimento del presente. Ma come sottolinea Paolo la risurrezione è una realtà, pertanto questa speranza fornisce ai cristiani non solo validi motivi ma anche la forza necessaria per continuare a fare sacrifici (1Co 15:58).

alcuni di voi dicono che non c’è risurrezione dei morti Se quello che dicevano fosse stato vero, chi era morto con la speranza di tornare a vivere sulla terra sarebbe rimasto nella Tomba per sempre (Mt 22:31, 32; Gv 11:23, 24; vedi approfondimento a 1Co 15:2). Inoltre i cristiani unti non sarebbero potuti andare in cielo, perché per andarci dovevano, una volta morti, essere risuscitati con un corpo spirituale (1Co 15:35-38; vedi approfondimenti a 1Co 15:36, 38). Paolo afferma che se la risurrezione non fosse una realtà la fede cristiana sarebbe inutile, senza alcuno scopo (1Co 15:13, 14). Quindi difende fermamente la speranza della risurrezione, concentrandosi qui sulla speranza dei cristiani unti.

le cattive compagnie corrompono le buone abitudini O “le cattive compagnie corrompono i sani princìpi morali”. Sembra che Paolo stia citando un proverbio o un modo di dire tipico dell’epoca, il quale riflette anche un principio che ritorna più volte nella Bibbia (Pr 13:20; 14:7; 22:24, 25). Paolo qui lo cita per esortare i suoi compagni di fede a evitare, se non necessario, di stare in compagnia di chi rifiuta la dottrina scritturale della risurrezione (1Co 15:3-8; vedi approfondimento a 1Co 15:12). Paolo sapeva che la compagnia di chi rifiutava questo e altri insegnamenti cristiani ben fondati poteva essere distruttiva per la fede e poteva ‘corrompere’ (il verbo greco fthèiro ha in sé il senso di “guastare”, “rovinare”) le buone abitudini e il sano modo di ragionare (At 20:30; 1Tm 4:1; 2Pt 2:1). La congregazione di Corinto era piagata da diversi problemi molto seri, i quali erano forse riconducibili, almeno in parte, alla scelta di compagnie sbagliate (1Co 1:11; 5:1; 6:1; 11:20-22).

Tornate in voi Qui Paolo usa un verbo greco che principalmente significa “smaltire l’ubriachezza”, “tornare sobrio”. Dal momento che alcuni cristiani di Corinto prestavano ascolto a insegnamenti apostati, come quello che negava la risurrezione, si trovavano in uno stato di torpore spirituale: erano confusi e disorientati come fossero ubriachi. Paolo perciò li esorta a svegliarsi, a scrollarsi di dosso quella confusione afferrando il pieno significato dell’insegnamento della risurrezione. E dovevano farlo subito, prima che quel torpore li portasse ad ammalarsi o addirittura morire spiritualmente (1Co 11:30).

Dio gli dà un corpo Qui Paolo prosegue la metafora con cui paragona la risurrezione dei cristiani unti alla germinazione di un seme. (Vedi approfondimento a 1Co 15:36.) Usa l’esempio di un piccolo seme di grano che non somiglia per niente alla pianta che nascerà da esso. Il seme “muore” in quanto seme e diventa una pianta che germoglia (1Co 15:36, 37). In modo simile i cristiani unti devono prima morire quali esseri umani. Poi Dio, al tempo da lui stabilito, li riporta in vita con un corpo completamente nuovo (2Co 5:1, 2; Flp 3:20, 21). Gli unti vengono risuscitati con corpi spirituali per vivere nel mondo spirituale (1Co 15:44; 1Gv 3:2).

se prima non muore Nel parlare della risurrezione dei cristiani unti alla vita spirituale, Paolo paragona la sepoltura del corpo fisico alla semina di un seme. Il seme “muore” nel senso che, quando viene piantato, si disintegra. La pianta che ne deriva ha forma e aspetto completamente diversi dal seme. (Confronta Gv 12:24.) Allo stesso modo un cristiano che è stato scelto da Dio perché sia coerede di suo Figlio e riceva l’incorruzione e l’immortalità in cielo deve prima morire. In 1Co 15:42-44 la metafora dell’essere seminati ricorre quattro volte. Paolo la usa per descrivere il fatto che con la risurrezione un cristiano unto, al posto di un corpo fisico, ottiene un corpo spirituale. (Vedi approfondimento a 1Co 15:38.)

se prima non muore Nel parlare della risurrezione dei cristiani unti alla vita spirituale, Paolo paragona la sepoltura del corpo fisico alla semina di un seme. Il seme “muore” nel senso che, quando viene piantato, si disintegra. La pianta che ne deriva ha forma e aspetto completamente diversi dal seme. (Confronta Gv 12:24.) Allo stesso modo un cristiano che è stato scelto da Dio perché sia coerede di suo Figlio e riceva l’incorruzione e l’immortalità in cielo deve prima morire. In 1Co 15:42-44 la metafora dell’essere seminati ricorre quattro volte. Paolo la usa per descrivere il fatto che con la risurrezione un cristiano unto, al posto di un corpo fisico, ottiene un corpo spirituale. (Vedi approfondimento a 1Co 15:38.)

Dio gli dà un corpo Qui Paolo prosegue la metafora con cui paragona la risurrezione dei cristiani unti alla germinazione di un seme. (Vedi approfondimento a 1Co 15:36.) Usa l’esempio di un piccolo seme di grano che non somiglia per niente alla pianta che nascerà da esso. Il seme “muore” in quanto seme e diventa una pianta che germoglia (1Co 15:36, 37). In modo simile i cristiani unti devono prima morire quali esseri umani. Poi Dio, al tempo da lui stabilito, li riporta in vita con un corpo completamente nuovo (2Co 5:1, 2; Flp 3:20, 21). Gli unti vengono risuscitati con corpi spirituali per vivere nel mondo spirituale (1Co 15:44; 1Gv 3:2).

lo splendore di una stella è diverso da quello di un’altra Per alcuni corinti era inconcepibile che un essere umano, fatto di carne e ossa, una volta morto potesse essere risuscitato con un diverso tipo di corpo, uno spirituale; per questa ragione Paolo presenta degli esempi molto vividi. Qui menziona le stelle. Un osservatore del I secolo poteva benissimo confermare che le stelle variano tra loro per brillantezza e colore. Paolo intende dire che il Dio che ha creato una tale varietà di corpi celesti è in grado di risuscitare un essere umano e creare un corpo spirituale.

immortalità Il termine greco reso “immortalità” (athanasìa) ricorre tre volte nelle Scritture Greche Cristiane: in 1Co 15:53, 54 e 1Tm 6:16. Si riferisce alla qualità della vita che gli unti ricevono, una vita senza fine e indistruttibile. Infatti gli unti discepoli di Cristo, che quali esseri umani mortali servono Dio fedelmente, vengono risuscitati non come le altre creature spirituali, che hanno la vita eterna, ma con qualcosa in più: Geova dà loro “una vita indistruttibile” (Eb 7:16). Questa è una straordinaria prova della fiducia che ripone in loro. (Confronta approfondimento a 1Co 15:42.)

incorruzione Il termine “incorruzione” (in greco aftharsìa) si riferisce allo stato di qualcosa che non può decomporsi o corrompersi, qualcosa di imperituro. Con la risurrezione i cristiani unti, che hanno vissuto e servito fedelmente fino alla morte con un corpo fisico mortale e corruttibile, ricevono un corpo spirituale incorruttibile (1Co 15:44). Un corpo di questo genere “risuscitato nell’incorruzione” diventa intrinsecamente immune da decadimento o distruzione e a quanto pare autosufficiente. (Confronta approfondimento a 1Co 15:53.)

fisico Il termine greco psychikòs che compare nel testo originale deriva dalla parola psychè, tradizionalmente resa “anima”. Qui descrive corpi di creature terrene in contrasto con corpi celesti; si riferisce a ciò che è materiale, tangibile, visibile e mortale. (Vedi Glossario, “anima”.)

figlio di Adamo Luca fa risalire la genealogia di Gesù fino ad Adamo, progenitore di tutta l’umanità. Questo è coerente con l’intento con il quale Luca scrisse il suo Vangelo: portare una buona notizia a tutti, sia ebrei che non ebrei. Matteo, che sembra abbia scritto il suo Vangelo specialmente per gli ebrei, fa invece risalire la genealogia di Gesù fino ad Abraamo. La portata universale del Vangelo di Luca è anche evidente dal fatto che menzioni come il messaggio e le opere di Cristo recarono beneficio a qualsiasi tipo di persona: da un lebbroso samaritano a un ricco esattore di tasse, fino ad arrivare a un ladro condannato a morire su un palo (Lu 17:11-19; 19:2-10; 23:39-43).

Adamo, figlio di Dio Questa espressione fa riferimento all’origine dell’umanità e concorda con quanto viene detto in Genesi, dove si legge che il primo uomo fu creato da Dio e a immagine di Dio (Gen 1:26, 27; 2:7). Inoltre fa luce su altre affermazioni ispirate, come quelle riportate in Ro 5:12; 8:20, 21 e 1Co 15:22, 45.

il quale è simile a colui che doveva venire Il primo uomo, Adamo, è simile a Gesù Cristo, la cui venuta fu promessa nel giardino di Eden quando Geova Dio stava per emettere la condanna contro Adamo ed Eva (Gen 3:15). Adamo e Gesù furono entrambi esseri umani perfetti. Inoltre, entrambi divennero padri: Adamo fu padre in senso letterale perché fu il progenitore dell’umanità peccatrice (Gen 1:28), mentre Gesù è padre perché è “colui che conduce alla vita” ed è il “Padre eterno” degli esseri umani ubbidienti (At 3:15; Isa 9:6). Adamo disubbidì a Dio e generò una discendenza di peccatori; il loro Redentore, per poter annullare il loro debito dovuto al peccato, doveva essere un uomo perfetto come Adamo. Questo è in armonia con il principio “vita per vita” (De 19:21). Per tale motivo Paolo disse: “È scritto: ‘Il primo uomo, Adamo, diventò un essere vivente’. L’ultimo Adamo diventò uno spirito che dà vita” (1Co 15:45). Il termine greco reso “simile” è tỳpos, che letteralmente significa “modello” o “prefigurazione”; quindi l’espressione “è simile a” potrebbe anche essere tradotta “è modello (prefigurazione) di”. Ovviamente non c’è nessuna somiglianza tra l’assoluta ubbidienza di Gesù a Geova e la sfrontata disubbidienza di Adamo.

Il primo uomo, Adamo [...] L’ultimo Adamo Nella prima parte del versetto Paolo cita Gen 2:7 (“l’uomo diventò un essere vivente”), ma aggiunge le parole “primo” e “Adamo”. Nella seconda parte del versetto chiama Gesù “l’ultimo Adamo”. Poi in 1Co 15:47 chiama Adamo “il primo uomo” e Gesù “il secondo uomo”. Il primo Adamo disubbidì al Padre, colui che gli aveva dato la vita; l’ultimo Adamo gli mostrò assoluta ubbidienza. Il primo Adamo trasmise ai suoi discendenti il peccato; l’ultimo Adamo diede la sua vita umana come sacrificio di espiazione per i peccati (Ro 5:12, 18, 19). Geova poi riportò in vita Gesù come spirito (1Pt 3:18). Visto che Gesù, come Adamo, era un uomo perfetto, Geova coerentemente con i suoi stessi princìpi di giustizia ne poté accettare il sacrificio “come riscatto corrispondente” per ricomprare i discendenti di Adamo; questo sacrificio di riscatto avrebbe ridato agli esseri umani le stesse prospettive di vita che il primo Adamo aveva perso (1Tm 2:5, 6). Pertanto Gesù poteva giustamente essere definito “l’ultimo Adamo”, a indicare che dopo di lui non ci sarebbe stato bisogno di un altro Adamo. (Confronta approfondimenti a Lu 3:38; Ro 5:14.)

un essere vivente O “un’anima vivente”. Paolo sta citando Gen 2:7. Lì in ebraico compare il termine nèfesh, che letteralmente significa “una creatura che respira” e, come indica la nota in calce, può anche essere reso “persona” o “anima”. (Vedi Glossario, “anima”.)

del celeste Cioè di Cristo Gesù, “l’ultimo Adamo” (1Co 15:45).

in un batter d’occhio Il termine greco reso “batter d’occhio” (rhipè) dà l’idea di un movimento rapido. In questo contesto sembra descrivere un veloce battito di ciglia o un repentino movimento degli occhi, a indicare il modo istantaneo in cui “durante l’ultima tromba” i cristiani unti vengono risuscitati alla vita immortale in cielo (1Ts 4:17; Ri 14:12, 13).

incorruzione Il termine “incorruzione” (in greco aftharsìa) si riferisce allo stato di qualcosa che non può decomporsi o corrompersi, qualcosa di imperituro. Con la risurrezione i cristiani unti, che hanno vissuto e servito fedelmente fino alla morte con un corpo fisico mortale e corruttibile, ricevono un corpo spirituale incorruttibile (1Co 15:44). Un corpo di questo genere “risuscitato nell’incorruzione” diventa intrinsecamente immune da decadimento o distruzione e a quanto pare autosufficiente. (Confronta approfondimento a 1Co 15:53.)

immortalità Il termine greco reso “immortalità” (athanasìa) ricorre tre volte nelle Scritture Greche Cristiane: in 1Co 15:53, 54 e 1Tm 6:16. Si riferisce alla qualità della vita che gli unti ricevono, una vita senza fine e indistruttibile. Infatti gli unti discepoli di Cristo, che quali esseri umani mortali servono Dio fedelmente, vengono risuscitati non come le altre creature spirituali, che hanno la vita eterna, ma con qualcosa in più: Geova dà loro “una vita indistruttibile” (Eb 7:16). Questa è una straordinaria prova della fiducia che ripone in loro. (Confronta approfondimento a 1Co 15:42.)

La morte è eliminata per sempre Lett. “la morte è inghiottita nella vittoria”. Citando le parole scritte da Isaia nell’VIII secolo a.E.V., Paolo mostra che Dio aveva promesso di porre fine alla morte adamica già molto tempo fa. Il testo ebraico di Isa 25:8 alla lettera dice: “Egli [cioè Dio] inghiottirà la morte per sempre”. Nel citare queste parole Paolo usa un’espressione (qui resa “per sempre”) che significa “nella vittoria”. Questa resa vicina all’originale è adottata da varie traduzioni bibliche che rendono così la frase: “La morte è stata inghiottita nella vittoria” (La Nuova Diodati, CEI) o “La morte è distrutta! la vittoria è completa!” (Parola del Signore). Comunque in alcuni contesti l’espressione greca può significare “per sempre”. Nella Settanta viene usata per rendere un termine ebraico che ha il senso di “per sempre”, ad esempio in Isa 25:8 e La 5:20. Pertanto qui in 1Co 15:54 ci sono valide ragioni per rendere questa espressione greca con “per sempre”, soprattutto alla luce del testo ebraico originale da cui la citazione è tratta.

Morte, dov’è la tua vittoria? Morte, dov’è il tuo pungiglione? Paolo qui cita Os 13:14. La profezia di Osea non si riferiva al fatto che gli israeliti disubbidienti di quel tempo sarebbero stati risuscitati. L’applicazione che ne fa Paolo dimostra che quella profezia si riferiva al tempo in cui i morti saranno riportati in vita e la Tomba (Sceol o Ades) verrà privata di ogni potere. Paolo in parte cita queste parole dalla Settanta, che dice: “Dov’è la tua punizione [o “castigo”], o morte? Dov’è il tuo pungiglione, o Ades?” Con queste domande retoriche rivolte alla nemica Morte (1Co 15:25, 26), è come se Paolo stesse dicendo: “Morte, non riporterai più alcuna vittoria! Morte, il tuo pungiglione non può più fare del male a nessuno!”

pungiglione Il termine greco originale (kèntron) può riferirsi al pungiglione di un animale, come lo scorpione. Ricorre anche in Ri 9:10, dove si parla di locuste simboliche che hanno “code con pungiglioni come gli scorpioni”. Qui in 1Co 15:55 il termine viene usato metaforicamente per descrivere il dolore e la sofferenza che la morte ha causato a milioni di esseri umani (1Co 15:26). Proprio come uno scorpione privato del suo pungiglione non può più pungere, la morte non avrà più alcun potere sugli unti che saranno stati risuscitati quali eredi del Regno di Dio e che avranno ottenuto l’immortalità (1Co 15:57; Ri 20:6). Durante il Regno millenario di Cristo, Dio eliminerà del tutto il pungiglione della morte adamica quando milioni di persone saranno risuscitate e la morte sarà simbolicamente gettata “nel lago di fuoco” (Ri 20:12-14; 21:4; Gv 5:28, 29).

e la forza del peccato è la Legge O “e la Legge dà al peccato la sua forza”. Qui Paolo si riferisce alla Legge mosaica. La Legge spiegava chiaramente cosa dovesse essere considerato peccato, annoverando tra i peccati molte azioni e persino pensieri o sentimenti (Ro 3:19, 20; Gal 3:19). È in questo senso che la Legge dava al peccato la sua forza. E, come risultato, gli israeliti si rendevano conto di essere peccatori e colpevoli agli occhi di Dio, e di aver bisogno del Messia (Ro 6:23).

Quindi [...] siate saldi, irremovibili Il termine greco reso “saldi” ha il senso di stabile, fermo, ben piantato. Ricorre anche in Col 1:23 insieme all’espressione “solidamente poggiati sul fondamento”. Trasmette l’idea del tener duro grazie a un’incondizionata fede in Dio e nelle sue promesse (1Pt 5:9). Il termine reso “irremovibili” ha un significato simile e si riferisce a qualcosa di immobile, che non può essere smosso. Quando il cristiano si trova di fronte a difficoltà e prove di fede, la speranza che nutre è per lui come “un’ancora” che tiene ferma la nave affinché non si sposti dall’ormeggio (Eb 6:19). Paolo usa insieme questi due termini, “saldi” e “irremovibili”, per esortare i fratelli di Corinto a restare attaccati con determinazione e forza alla loro fede e speranza, certi che la loro fatica “nell’opera del Signore” non sarà mai inutile.

opera del Signore [...] nel Signore In questo contesto il termine greco Kỳrios (“Signore”) può riferirsi sia a Geova Dio sia a Gesù Cristo. Qui è probabile che si riferisca a Geova, visto che Paolo definisce i ministri cristiani “collaboratori di Dio” e il ministero “l’opera di Geova” (1Co 3:9; 16:10; Isa 61:1, 2; Lu 4:18, 19; Gv 5:17; Ro 12:11). Inoltre Gesù, parlando dell’opera di mietitura spirituale, si riferì a Geova Dio come al “Signore [Kỳrios] della messe” (Mt 9:38). C’è però anche la possibilità che Paolo avesse in mente l’opera, o ministero, che Gesù guidò quando fu sulla terra (Mt 28:19, 20). In ogni caso, che il termine Kỳrios qui si riferisca a Geova o a Gesù, i ministri cristiani hanno il grande privilegio di essere collaboratori sia del Sovrano Signore Geova sia del Signore Gesù Cristo nel proclamare la buona notizia.

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